Wednesday, December 30, 2020

mettiamocelo alle spalle, francamente un po' fastidiosino [niente divisione tra destruens e construens]

salto a piè pari la menata del simbolismo e la convenzione che è un anno, con la storia che all'ultimo che si tira le fila. e tutte le psicocazzate che ci girano intorno. solitamente ci iniziavo il post della pars destruens dell'anno. poi veniva il post della pars construens. di solito era così. in un anno normale. per quanto possa essere normale un anno.

questo, di anno, francamente un po' fastidiosino è tutto tranne che normale. per quanto non possa essere definito di merda.

sgombrerei anche il campo delle ovvietà. questo non è stato il peggior anno per il mio ombelico. quello in cui mancò mio padre non voglio nemmeno pensarci a confrontarlo. [poi vabbhé. massì. lo dico. ormai. per quanto mi sembri un'immane cazzata solo di casualità. è che avevo trascorso il capodanno in quel freddo meneghino entrando in quello di anno, oltre che di quest'ultimo. non c'entra un cazzo. lo so. non voglio scivolare in queste isterie scaramantiche. non ha senso. sono uno scettico razionalista - e pure tignosamente rompicoglioni su 'sta cosa. è stato solo un caso. quindi nessun nesso causale. e poi dove passi una cazzo di serata assolutamente qualunque nei dintorni del solstizio invernale, è una sovrastruttura che ci teniamo addosso, come un grumo di paura dell'incerto e del futuro delle cose, che affonda nei recessi dell'oscurità della nostra ragione che via via si è formata e consolidata. cazzo. ci sono di mezzo almeno due secoli e mezzo di illumismo. non dovevo nemmeno pensarla 'sta cosa. figurarsi scriverla. suvvia. siamo oltre queste minchiata.  [e comunque niente. è solo un dettaglio da diiiipiiiisciiiemmme che a 'sto giro non sono a milano]].

dicevo di sgombrare il campo dalle ovvietà. sgombriamo quindi. sono in salute. matreme e le persone più o meno vicine pure. ho un lavoro. che continua non piacermi. ma per i paradossi che spuntano qua e là è molto molto molto probabile che così tanto non fatturerò più. per dire. 'sto cazzo di anno che lasciamolo andare, buttiamolo: ma è stato il più danaroso di sempre. quindi nemmeno troppo di cui lamentarmi, personalmente. ad essere obiettivi.

non solo. aggiungerei uno sguardo critico all'ovvietà. allargandolo. questo è stato l'anno peggiore da lustri et lustri et lustri soprattutto per la civiltà del primo mondo. c'è chi ha cazzi ben più impegnativi et penetranti dei nostri, che si è visto aggiungere giusto un fardello in più. roba tipo: ah, c'è pure 'sta cazzo di pandemia per questo virusssssedimmmerda? 'spetta che faccio posto nel proluvio di ammonticchiamenti per cui avrei financo motivo per lamentarmi, scoraggiarmi, lasciar andare tutto. ma comunque tengo botta. che vivere è quel vizio che spinge e pompa di più di tutto. al netto del concetto di giustizia che da queste parti evapora manco la rugiada nel deserto, quando il sole comincia a picchiare. anzi. la storia della rugiada è financo un'immagine troppo poetica per come si sta piuttosto lontani dal concetto di giustizia qui da noi, e 'l modo ancor m'offende [cit.].

però. appunto. e considerato che non è andato esattamente tutto bene.

non ostante tutto [ie io non sono l'ombelico di niente. in fondo nemmeno di me medesimo. han provato mediamente i cazzi anche quelli del primo mondo]. credo sia un immenso, incommensurabile, intrattenibile, corale desiderio di sfancularlo. io come tutti, e mai mi sono sentito così coinvolto in questo impeto et desiderata. per quanto è il solito, inevitabile, innegabile continuum. il divenire prosegue senza soluzione di continuità. ce lo stiamo togliendo dalle palle. ma scivolando in quello nuovo non cambierà da subito 'sto granché. anzi. ma è la solita convenzione di cui sopra. ma come non mai mi piace pensare che evviva le convenzioni. se in maniera tra l'apotropaico, il catartico e lo sguaiato lo mandiamo afffffanculo. peeppeeepepppeeppeeeppeeeeeppeeee [musichetta da trenino di veglione trash] godiamoci questa cazzo di convenzione.

e lasciamo alle spalle quel che ognuno - primo, secondo, terzo, quarto mondo - vuol lasciarsi indietro di questa cosa. qualsiasi cosa e in qualsiasi modo si sia declinato. non ci ho nemmeno voglia di dettagliare cosa. un esercizio che davvero eviterei, a 'sto giro. tutto nell'umido. a macerare. sperando ne esca del concime.

anche perché così mi piacerebbe far crescere quelle stille che mi porto volentieri dietro. piccoli attimi. istantanee. momenti tanto veloci quanto importanti. salire un sentiero con il lanternino. spegnere dopo anni la classica candelina sopra la classica torta. scoprire piccoli borghi così vicini e mai visitati. finire alcuni libri. parcheggiare l'auto e far pat-pat sul retro e dire: grazie macchinina di avermi portato quivi. saturno e giove che allineati si buttano nel mare. certi tramonti sul terrazzino e starci per dare una mano. tornare a teatro, alla presentazione di un libro, ad un concerto. il sole che s'incunea innondando di luce fiduciosa la piazza ché il lunedì mattina non impaura. l'idea di incrociare persone nuove. il passeggiar per boschi rincorrendo la linea del tramonto e poi guardarselo in mezzo al lago. mica tantissima roba. ma con quel pizzico di abilità in più nel saperli riconoscere, quei momenti. come ad annullare la latenza tra il viverli ed aver contezza si sarebbero portati appresso - struggenti, dolcissimi, rasserenanti, figosi, quasi felici - anche in quello che viene. come attimo di vita importante.

anche il ricordo di quel pomeriggio in cui ho saputo dell'ermi. che ancora non mi sembra vero se ne sia andato.

ecco. concimar 'ste cose qui. con la putrefazione di quel da gettar nell'organico. e far crescere e maturare quel desiderio di riprendersi quel che è mancato. 'ché darlo per scontato è roba mica tanto scaltra. che ricordarselo e passarci in mezzo, prendendo quello che c'è da cogliere ce lo si merita tutti [ecccccheccazzo!]. diventa quasi dovere morale farlo al meglio. chi potrà. quando sarà. in un anno dispari. che son sempre i numeri meno banali.

 



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