Saturday, December 12, 2020

un post lungo multipartito, tipo una lunghisssssssima psicopippa a tocchi /2: lo secchiones

stamani ascoltavo gianni cuperlo, intervistato alla radio. ho pensato che il suo argomentare è interessante. è il dispiegarsi di tante istanze in cui credo, che mi appassionano, piene di buon senso e giustizia. che è un concetto che a pensarlo bene mi fa venire la pelle d'oca emozionale. solo che a me gianni cuperlo non mi verrebbe di votarlo, in battuta. a dirla tutta non mi verrebbe di votare pressoché [quasi] nessuno di quelli che siedono là dentro. mi rendo conto che, alla lunga, possa cubare un qualcosa che si avvicina al concetto di problema. ad un certo punto dell'intervista gianni cuperlo ha asserito: i partiti hanno dismesso i centri studi e potenziato gli uffici stampa, e questo è qualcosa che non va per niente bene. col tempo è diventato molto negativo.

credo che anche in questo gianni cuperlo abbia ragione. e che per i famosi rimbalzi mi è tornata in mente una cosa. che avevo un'idea postica che mi frullava in testa la scorsa primavera. l'idea in realtà avrebbe potuto essere quel cicino articolata. e quindi già allora decisi di multipartirla, in più post. e quindi avrei potuto farne una specie di  lunghisssssssima psicopippa a tocchi. ne accennai, poco prima di allora, all'amico emanuele - che rappresenta pur sempre un ventipercento dei lettori che passano di quivi. lui mi disse che stavo creando un hype, ed avrebbe letto volentieri. mi colpì 'sta cosa dell'hype. anche perché mi fa comunque strano possa riuscire a creare una qualsivoglia approssimazione di hype. ma qui si ritorna per le vie brevi al [macro]discorso nel crederci e nell'aver fiducia nei propri mezzi. come peraltro discorrevo veloce con l'amico quiTo - che rappresenta, toh, uotsasurrrprais, un altro ventipercento dei lettori che passano di quivi.

ma non è del crederci [o meno] e/o nel [non] aver grande fiducia nei propri mezzi 'sto post. perché quella è una cifra esistenziale che si potrebbe anche sfruttare per qualcosa di più organico e corposo. ad aver fiducia, ovvio.

no. il rimbalzo ad ascoltare gianni cuperlo è che avevo in testa questa lunghisssssssima psicopippa a tocchi, di cui l'hype e la meraviglia per. e c'era almeno una seconda parte che ancora era da conchiudere in un post. tipo questo. [agggggggià, a dirla tutta la prima parte sarebbe questa].

 

io ho frequentato un itis cazzutissimo. lo scelsi anche per quello: per dimostrare potessi riuscire a frequentare un itis cazzutissimo, per non sentirmi da meno da quelli che frequentavano un liceo. che fosse cazzuto, e che mi abbia preparato in maniera decisamente cazzuta per l'università, è un dato di fatto. esattamente come la sensazione che quella non fosse la scuola superiore facesse per me. ed il fatto ne sia uscito in maniera più che brillante è un riuscitissimo despistaggio interiore ed esperito. dal frequentare quell'itis dipartì tutta una serie di cose e di deviazioni che poi ora lavoro là dentro, per un cazzo realizzato [invero al momento la fatturazione è buona]. vabbhè. itis cazzutissimo. in quell'itis non si rimandava a settembre con gli esami di riparazione. tre insufficienze: bocciato. due anni di seguito con la medesima insufficienza: bocciato. semplice no? per il triennio scelsi l'indirizzo considerato come il più cazzuto. stesso discorso di dover dimostrare a qualcosa o qualcuno di cui sopra. in terza partimmo in trentadue. di quei trentadue in quarta arrivammo in sedici. di quei sedici in quinta arrivammo in otto. cazzutamente non regalavano nulla. però poi avevi la strada spianata. anche nel frequentare ingegneria elettronica.

in terza eravamo trentadue. talmente ammassati che ci saremmo pandemizzati nel volgere di un compito in classe. trentadue maschi. non esattamente la situazione più agevole per me, che maschio alfa dominante non lo sono proprioproprio mai stato. tanto per cambiare scelsi il banco di prima fila, possibilmente vicino la finestra. in un angolo. tutto l'ammasso testosteronico non mi riguardava, stava dietro, come fosse altro. alla bisogna potevo guardar fuori la finestra il paesaggio comunque un po' triste. oppure, spalle alla finestra, osservare incuriosito tutto il resto di quell'umanità, professori compresi. non è che stessi in cima alla lista di quelli popolari della classe, ma neanche l'ultimo degli stronzi [cit.].

ecco. è la posizione conquistata di centro classifica l'elemento cogente del post. che ci sono arrivato, finalmente. 

il posto dietro di me era occupato dal compagno [di classe] ceretti, mica mi ricordo il nome. occhietti piccoli e vivaci, già piuttosto stempiato. aveva il visto simpatico. una specie di cicciobaciccio di quell'ammasso di potenziali nerd. era sempre sorridente, tranne quando lo interrogavano. si incupiva assaje, non dava l'idea di essere il più brillante di tutti. fu uno di quelli che senza troppi dubbi rimase nella metà di coloro che ripeterono l'anno - gli altri sedici. non è che abbia legato poi tanto con lui. aveva la mano felice nel disegnare. ed osservava con una certa arguzia i suoi compagni di classe. tanto che per ciascuno fece una specie di caricatura. ad ogni caricatura un nomignolo, per completarne la tipizzazione. ognuno era un los qualcosas. quindi girarono i fogli fotocopiati di trentadue los qualcunos, e forse anche qualche professore. la mia fu una delle prime che fece, assieme a coloro che stavano lì nei suoi dintorni, quando ancora l'idea di caricaturizzare tutti non gli era venuta. così io rimasi quello riprodotto in maniera poco rispondente l'aspetto fisico. e quindi fui: los secchiones. nel senso che ero un secchio antropomorfo, con la lingua prominente et pendula. come quasi tutti quelli della prima fila o coloro che a visione sua erano, appunto, dei leccaculo dei professori. ricordo che un po' ci rimasi male. ma non lo diedi molto a vedere. osservando quelle trentadue caricature di alcuni si intuiva il trasporto verso il compagno [di classe] rappresentato. di altri un deciso poco afflato, caricaturato. io né uno né l'altro. in una medietà, ed anche un po' straniato dal mio faccione intimidito.

tecnicamente non ci aveva preso in maniera irreprensibile. per due motivi semplici:

  • fino alla quinta superiore non ho mai secchiato 'sto granché. anzi. studiavo il minimo indispensabile. le cose mi riuscivano senza tutto 'sto gran sforzo o abnegazione;
  • non leccavo il culo ai professori. semmai avevo una fottuta esigenza di sentirmi riconosciuto dall'autorità, cui però riconoscevo autorevolezza. è tuttuncomplessodicose che non giova all'economia di questo sbrodolamento postico.

però, specie oggi, credo che potesse starci quell'intuizione da vignetta che mi fece. senza condividere molto altrogli apparivo così, e tanto basta. mi riconosceva una [spocchiosa?] alterità, magari anche legata ad elementi oggettivi, che poi erano i voti che non si misconoscevano. alterità che in fondo mi stava anche bene. una specie di necessità di sentirmi definito in un qualche modo, che avevano poi tutti. anche con il paradosso di sentirmi accettato pur nell'alterità: ero il secchione, non pervenuto come compagno cameratesco, diventavo una specie di metonimia di quello che studia.

stavo a metà classifica. non sarei potuto salire, di certo: stante il mio non essere esattamente un trascinatore di folle. avrei potuto, invece, finire tra gli ultimi degli stronzi. ma non ci finii perché in fondo stronzo non lo sono mai stato. e quindi, se e quando potevo, un'aiuto l'ho sempre dato. nei compiti in classe non mi limitava l'egoismo del pensar saccente che ognuno potesse starsene nella sua ignoranza, in presa diretta con il voto quattro conseguente. piuttosto il fatto avessi una paura fottuta mi sgamassero i professori, in quel pollaio potenzialmente pandemico. e non avrei sopportato l'onta. perché in fondo era più pressante la necessità di sentirmi riconosciuto dai prof, che paracularmi in un'amicizia in cui sarei stato quello più impacciato et timido.

ero a metà classifica, perché probabilmente non percepivano questa riottosità convinta verso quelli meno smart - che alcuni mostravano, peraltro. ma non avrei mai potuto essere uno di loro. un po' perché si fa casino e buuuurdello cameratesco nella pancia della gaussiana. un po' perché i professori mediamente stavano sui coglioni, più che percepirne l'autorevolezza. figurarsi uno che dei professori godeva di una certa stima. tirando un po' sui toni: uno non nemico del mio nemico, non può essere mio amico.

il ceretti, oltre ad essere un bravo cristo - per quanto forse non velocissimo di testa - ed uno con il tratto felice, non era mio amico. ma non è importante. il ceretti non stava sul palmo dei professori. ed ho la pregna convizione che non li considerasse 'sto granché. giusto forse quel moderato timore. il ceretti - nella sua gioviale simpatia - era di certo più attratto da alcuni figuri. molto più trascinatori. di certo non dei fenomeni a scuola. e fottesega se i secchioni erano altri. non erano istanze che meritavano tutta questa stima. magari - anche - per una versione interiorizzata e molto inconscia del concetto di volpe e uva.

ecco. credo che il punto nodale della questione sia un po' questo. sull'autorevolezza che faceva altri giri. per quanto il problema, però, non è il voto in sé. il problema è che potenzialmente si ribalta il paradigma positivista [che nell'eccezioni nevrotiche mie può far comunque danno]. e si strizza l'occhio alla mancanza del voto che ti porterebbe avanti, nell'essere tra i sedici che passano in quarta. ma in fondo 'stigrandisssssssimicazzi. fino a farne motivo di vanto.

è come se cominciasse a rotolare la pallina. ed ingrossarsi. e se si ingrossa e può portare via l'aula professori. e se sai che non c'è più nessuno che entra in classe a dirti: separate i banchi - per quel che si può in spazi potenzialmente pandemici - compito a sorpresa, allora tutto diventa possibile. anche che gli affabulatori che sanno come affascinare il ceretti saltino sul banco e gridino: fanculo il compito in classe. e che vadano a far in culo i secchioni e i leccaculo. non siete [più] nessuno.

non deve fare poi tanto strano che dopo un po' ci si ritrovi circondati di laureati all'università della vita. quelli raffinati hanno l'ufficio stampa che funziona. quelli meno un social media manager senza scrupoli. ed il combinato disposto è un paese che sembra di peracottari.

con tutto il rispetto per i peracottari.

[occhei. forse l'ho fatta un po' tranchant, e banalizzante, da un certo punto in poi. ma c'è almeno un'altra parte dell'idea multipartita. che a volte mi si piazza nella testa con tutta il suo scintillio - per quanto scoraggiante nel significato ultimo. e poi scompare. cercherò di riprenderla. se e quando verrà].

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