Wednesday, January 27, 2021

eppure siamo a milioni

in questi tempi nuovi, sballottati, mi si sfaldano pure i pensieri sul giorno della memoria.

che darebbe già solo questo il senso della vertigine. sballottati, provati, spaesati per un evento epocale, sì. ma in cui ce ne si sta variegatamente col culo al caldo. figurarsi. e non si coglie nemmeno l'inizio della distanza inimmaginabile di quello fu per coloro che finirono in quel buco nero della storia.

passeggiavo poche ore fa. sotto la luna crescente. una brezza sferzante, ma pur sempre brezza. camminare a passi svelti, intabarrato nel giaccone e la sciarpa calda al collo. ovviavo al freddo che faceva pertugino. fastidio, e poco più. chissà com'era starsene con addosso poco più di un pigiama, nell'inverno dell'europa centrale. poche calorie di pasto al giorno. lavoro duro e da schiavi. ho pensato a quante migliaia, di migliaia, di migliaia di volte sarei morto di sfinimento, di stenti, di polmonite, di consunzione. solo per quello. senza contare il gioco cinico del destino che mi avrebbe fatto sparire per il volere casuale di qualcuno. un cenno che non sarebbe stato nemmeno volere. come quando si scaccia l'aria, con fare stanco della mano, acciocché una mosca si allontani. una concausa quasi inconscia. non essendo nemmeno più considerati uomini.

francesco guccini scrisse auschwitz [canzone nel bambino nel vento] nel 1964 [anche se lo pubblica due anni più tardi]. quarant'anni dopo, in un album live, al termine di quella canzone, mentre la musica ancora non si è spenta, racconta che quando la scrisse non immaginava sarebbe stato ancora costretto a cantarla ancora per tutti quegli anni. ancora tuona il cannone, ancora non è contento. già. probabilmente si riferiva a quello. è che forse a ventiquattro anni [lui, nel 1964], sei ancora abbastanza illuso da credere che, da lì a qualche lustro, la bestia umana ne avrà avuto abbastanza, sarà ormai contenta di sangue, ed il vento si poserà. per quanto c'è un verso che mi ha sempre colpito, e che non mi è mai tornato del tutto. anche quando ero davvero poco più che un bimbo. anche quando mi illudevo che da lì a qualche anno non ci sarebbero state più guerre. la storia del fatto del chiedersi come può l'uomo uccidere un suo fratello. c'era qualcosa di non coerente, pensando ad auschwitz. quel verso mi sembrava impreciso. come se non [mi] riuscisse a spiegare quel grumo di buio totale della storia. per quanto non ne sapessi ancora abbastanza - cioè no, non ne so ancora abbastanza nemmeno adesso, ma allora ne sapevo ancora di meno. era il fatto del un suo fratello. quell'abominio è stato possibile perché alcuni uomini non hanno più considerato uomini altri uomini. considerate se questo è un uomo, appunto. quel un suo fratello rimosso da coloro che si adoperarono, fattivamente, passivamente, o che sapevano e vivevano più o meno tranquilli.

continuo a pensare sia questa una delle istanze più stordenti, disorientanti. che siamo stati capaci di farlo. umani che non non ritengono umani altra umanità. donne e uomini che hanno smesso di considerarli donne e uomini, negazione, rimozione del concetto un loro fratello. quindi in potenza pur io. potrei rimuoverlo anch'io. [e nelle mie curiosità psicopipponiche mi piacerebbe capire, da qualcuno di quelli bravi, cosa hanno capito possa essere accaduto nella testa di costoro. cosa possa accadere. posto si possa riuscire a conchiudere una cosa del genere].

per questo mi sembra ancora più struggente la necessità della testimonianza di quelle donne e uomini che sono ritornati. che sostanziano con la loro presenza - a partire dalla corporeità - la loro umanità. sono la presa diretta, tangibile di quel tentativo di annullamento. per il fatto di esserci ratificano che no, non ci sono riusciti. sono coloro che smisero di essere considerati donne e uomini. è fondamentale ascoltarli raccontare come hanno mantenuto a sé la consapevolezza di continuare invece ad esserlo. con il rispetto sacro [laico] soprattutto delle eco della violenza fatta a quella consapevolezza. come possa essersi sbrindellata e rigenerata, guarita, cicatrizzata. non ci provo nemmeno a immaginare cosa deve aver significato tenersela stretta. diventa ancora più struggente, con i testimoni che via via se ne stanno andando. e quando l'ultimo ci avrà lasciato non sarà più la stessa cosa. perché non sarà più testimonianza, nel senso più profondo ed autentico del termine. perché nessuno di coloro che onorerà il compito del mantenere viva la memoria potrà raccontare il sapore della zuppa, l'odore delle camerate, il freddo che trapassava la divisa a righe. per poter da lì intuire, suggendolo forse senza saperlo, poco a poco, cos'è stato essere donne e uomini cui provarono a portar via la considerazione di essere umanità. rifiurglielo ed annullarglielo.

quando non ci saranno più sarà altra cosa. ed è come si diventasse tutti più grandi - necessariamente - nell'adoperarsi in quel dovere morale, prima che civile, che è mantenere la memoria. glielo dobbiamo, a tutti quei milioni che sono stati polvere nel vento, e ai loro - preziosissimi - testimoni.

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