Saturday, July 10, 2021

post [che nemmeno questo è] rapido - finali /2 (2012)

quando giocarono la finale dei campionati europei di calcio del duemiladodici facevo il piccolo imprenditore. che è un modo menoso e vestigiale per dire che mi facevo un culo pazzesco per l'azienda, ed il suo bene. meno per il mio. oppure è un modo diversamente vero per dire che piccoli eravamo piccoli. mentre a prendere era stata l'aziendina, abbastanza tutto. un sacco, troppo del mio tempo, di certo. quasi tutte le mie speranze di aver messo in piendi una cosa per cui valesse la pena farsi tutto quel culo. praticamente tutti i soldi et risparmi. e nel frattempo l'aziendina era di fatto già bollita. io non volevo prenderne ancora coscienza. ci avrei messo altri ventitremesi. non sono esattamente un tipo che in alcune situazioni coglie le cose al volo. sapevamo fossero finitit i soldi. di piccioli per tirar fuori delle fatture per noi, in quei mesi, non ce n'erano sono. così annnciò l'amministratore. così io pigiai il butòn nuovo, per inaugurare il file ecsel in cui avrei appunato tutti i piccoli rabbocchi che dal conto di matreme facevo verso il mio. più raramente quelli in senso inverso. quando capitava. era come un balzo all'indietro di quindici-ventanni. quando chiedevo i soldi a mio padre. senza più essere quello studente che sapeva ne avrebbe guadagnati lui, in futuro. eravamo in quel futuro, mi ero fatto un culo pazzesco. avevo ricominciato a farmi dare dei soldi. poi vabbhè. erano un prestito. li avrei restituiti. per quello c'era il file ecsel. pero ogni volta che aprivo et aggiornavo quel file era un misto di incazzo, intima vergogna, dubbi, convinzione si potesse limare qualche spesa, rimpinguando la categoria di quelle considerate non strettamente utili. in quel periodo l'amica paola offriva lei i giri [rarissimi] di birra.

quella fottutissima aziendina [delllammminchia]. doveva essere il progetto della vita. ecccccheccazzo. me l'aveva proposto lei. quella persona taaaaaaanto particolare. come altro non poteva non finire se non con un comunque vada sarà un successo? non era lei garanzia, per il fatto solo di esserci lei, di un distendersi, di dispiegarsi di praterie di successi, soddisfazioni, progetti avvincenti, sbalorditivi, innovativi. tutta roba che, oltre a farci ricchi, avrebbero soprattutto fatto rilucere il suo talento, la sua capacità, la sua unicità.

poi dice - uno - che forse c'è da registrare la percezione degli altri. e quel masochistico fidarsi. anche perchè c'è un masochistico fidarsi solo dove c'è un sadico fidati di me. cose così.

poi dice - due - che si riesce a farsi scivolare via le situazioni tossiche, quelle che non lasciano esattamente un ricordo gaudente e piacevole. [c'è dell'amara ironia. se non si era capito].

però, appunto, c'era il campionato europeo di calcio. sennò il post che c'entra col titolo? che è già andato in vacco il fatto sia rapido.

mi godetti con una bellissima solitudine del mio appartementino la semifinale, sulla poltrona poang dell'ikea. tv a volume zero, ascoltando il commento alternativo alla radio. che fottutissima e dominatissima partita. non vincete maiiiii, non vinceta maa-aiii, non vincetemaiiiiiii, cantarono quelli della radio, alla fine. che eravamo un po' la maledizione per i teteschi della germanicalcio.

quindi, nel pomeriggio del giorno la finale del campionato europeo del duemiladodici, poco prima del fischio d'inizio, io stavo cominciando a sistemare il giardino della casa dell'hometown. nel senso che c'erano reliqui di lavori finiti di recente. e pezzi vissuti, vita organica verde, eco di una vita passata di un'azienda floricola ormai chiusa da tempo. tutti, a loro modo, interferivano quando facevo soft gardening con il tosaerba e il giechibois. e quella domenica pomeriggio decisi che bisognava cominciare a risolvere la questione. quindi di vanga, piccone, guanti, mi concentrai sui reliqui. e tirai fuori un po' di tutto. e fu lavoro più improbo e sudante di quanto immaginassi.

e mentre ci davo dentro di vanga e piccone e di porcherie che saltavano fuori dal terreno, mi riempivo di dopamina, per lo sforzo. che è un gran bel riempirsi. e vedevo che stavo facendo qualcosa che il risultato era lì, immediato, tangibile, visibile. come un riscontro diretto del culo che mi stavo facendo. il contraltare - occhei, forse un po' facile - di quello che stavo vivendo in quei mesi. e quella minchia di aziendina bollita. ma stigrandisssssimicazzi fosse un po' facile come contraltare.

ed era un piacere. e questo, quel pomeriggio, mi bastava.

e pensavo. pensavo che la spagna era squadra davvero ancora molto forte. e che una cosa, in cui poteva forse sperare l'italcalcio, era che le furie rosse fossero ebbre et soddisfatte del fatto che, nei quattro anni precedenti, avevano vinto un campionato europeo ed un campionato del mondo. e quindi potevano giocarsi più stancamente la terza finale consecutiva. con la paciosa rilassatezza di chi ormai è satollo di successi. deboluccia come speranza. e spagna fottutamente forte.

e pensavo. pensavo che quella viburna stava impreziosendo di commenti il mio blogghettino relativo. e che fosse davvero un personaggio interessante. a dirla tutta in quel periodo i commenti interessanti non è che mancassero in quel blogghettino. in fondo era fatto per l'acchiappo. però un acchiappo autoselezionante. come, perché, cosa uno scrive è già un bell'indizio di chi si cela dietro i nickname più fantasiosi. e quindi sapevo che chi finiva lì dentro non era idiosincrasico alle mie psicopippe. e quindi poteva valer la pena interloquirci. e quello era un periodo interessante, in quel contesto molto etereo, psicopipponico, protetto. interessante per quel fermentìo di conoscenze che erano arrivate un po' tutte assieme. forse nemmeno così scorrelate fra di loro. contatti, di lettori, lettori di contatti, in quella commmmmiunity blogghica molto variegata, che era quella di libero - non il quotidiano, ovvio. tanto variegata che c'era un mondo banalità conformistica e normale. bastava starci lontano. tanto poi arrivavano quelli sui generis. e tra questi spiccava, eppur mimetizzandosi in quel gruppetto, 'sta viburna. non si poteva non notare fosse quel passo avanti gli altri. o meglio. a me appariva smaccatamente evidente. lei se ne stava un po' nel mucchio - sempre relativo a quel piccolo consesso di bloggatori sui generis - senza sgomitare poi tanto per farsi notare. per notarla bastava leggerla. ed era un altro leggere rispetto a praticamente tutti. a partire dallo scialacquare debordante mio. la sua cifra stilistica, la forma, la durata davano l'idea che per scrivere scriveva spesso, bene e verosimilmente per altri scopi. quelli dove una densa, essenziale, sinteticità era un obbligo. concetti pesanti, articolati, pregni, sunto punto di accumulazione di un sacco d'altro. scriveva bene. e la voglia di conoscerla di più era tanta. ma si scopriva poco. provai a farglielo capire. o magari mi immaginai io che potesse essere chiaro. lei un po' nicchiava, un po' interloquiva, un po' si ritirava. non era un'interlocuzione così serrata. e da un parte fu meglio così. [parentesi. poi accadde che quasi nel mentre arrivarono rapide altre. che andarono glabre più dirette al punto. e i fumi dell'alcool e del tetracannabinolo ed il contesto apparecchiarono serate dove - per fortuna - c'era di mezzo tutto l'italico stivale. sennò. altre suggestioni arrivarono. e in fondo poi passarono]. insomma, 'sta viburna un po' di alone di mistero, e cortese ritrosia, la manteneva. provai ad inferire quanto più possibile di lei. c'era il papero, quindi aveva un figlio. grande città, ma non milano. un blu profondo in una parte del fondo degli occhi. echi di passaggi complicati del passato. il caldo che le gocciolava addosso e che non riusciva a cacciarsi via. non so perché me l'immaginavo con delle belle tette.

il pomeriggio del giorno della finale scavavo, mentre pensavo. pensavo, mentre scavavo. all'ennesimo periodo complesso, nel complesso. al fatto che alcune cose bastava dare di vanga e picccone per sistemarle, che bella la pragmatica. che scrivere mi dava la possibilità - anche - di incrociare persone interessanti. anche se poteva sembrare effimero. e che dovevo sbrigarmi a finire il lavoro, per avere il tempo di docciarmi e guardarmi la finale. anche se la spagna era davvero squadra ancora molto forte.

poi accaddero un po' di cose.

che la partita andò come doveva andare. spagna troppo forte, l'italcalcio spianata. la roja appagata di successi un bel paio di cazzi. forse la finale meno equilibrata degli ultimi lustri. con iker casillas - che fottutissimo signor portiere et capitano - che nei minuti di recupero, inutili sul quattroazero, chiede all'arbitro di chiuderla lì, per rispetto verso gli avversari.

in quel lungo mese di agosto successivo, con l'aziendina chiusa più che per ferie, per mancanza di cose da sviluppare, lavorai di hard gardening di brutto. e feci cose che mai mi sarei immaginato di saper fare così continuativamente. e fu un contraltare che tenne in pista la mia serenità mentale. tanto più mi stancavo e mi segnavo in un po' tuto il corpo [rovi, pezzi di radici sollecitate dal piccone, schizzavano e mi colpivano ovunque, qualche movimento improprio - non era il mio mestiere] tanto più mi sentivo soddisfatto et ispirato per post psicopipponici. che la viburna commentava, assieme ad altri ovvio.

me ne andai al mare, a cauterizzare con l'acqua salata tutti i reliquii che mi ero procurato. ed un sera, leggevo alan bennet, la viburna ed io decidemmo che ci saremmo conosciuti [anche se - tecnicamente - non le chiesi delle tette]. ed in fondo fu una delle decisioni più importanti et interessanti dell'ultimo decennio.

quando ci incrociammo - non capendoci esattamente del luogo, confondendo le colonne cui facevo riferimento - parlammo abbastanzemente, infilando svariate subordinate di discorso dentro altre, che poi ci volevano algoritmi ricorsivi per chiuderle tutte, tipo quello per risolverela torre di hanoi [questa la capirà, forse, il figlio della viburna, e tutti quelli che hanno dato un esame di informatica]. tra le altre cose, eravamo sul bordo di un passaggio sulle stisce pedonali, mi disse che i miei soci mi stavano zavorrando, argomentando il perché. io confutai la cosa. e ricordo che pensai che stavo confutando quella affermazione con sincera convinzione, che non mi stavo auto-sabotando.

naturalmente aveva ragione lei. ed ho ripensato spesso al pensiero che pensavo fosse sincero, cosa che penso ancora oggi: che allora ne fossi geninuamente convinto. anche perché non stavo la stavo confutando per difendere quei personaggini, che vabbhè. stavo cercando di difendermi dalla delusione che, invece, stava crollandomi addosso. e che rimuovevo. ma il principio di realtà, anche allora, se ne sarebbe fottuto della mia rimozione, arrivando a manifestare come stavano le cose. con tutte le macerie a venir di conseguenza. e spalancando il fatto, appunto, avesse ragione la viburna. macerie che ancora non ho finito di spalar via - ma questo è un altro discorso. 

il giorno della finale del campionato europeo del duemiladodici stavano succedendo cose. variegatissime.

ed in fondo aver conosciuto una come la viburna, meriterebbe lo scambio con finali perse da qui a qualche gruppanza di lustri. e stigrandissssssimi cazzi per l'italacalcio.

 



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