Friday, December 3, 2021

sertralina

il fatto è che un po' bisogna fidarsi. un po' bisogna buttarsi, nel senso di provarla. non ostante lo stigma che è attaccataticcio qua e là [e forse pure nel vissuto che uno si porta dentro]. non ostante le avversità nelle reazioni. che poi si relativizza e si contestualizza il concetto di rarità. che se sei tu il caso raro, un po' tutto lo sembra meno, mentre molto altresì totalizzante. guarda un po' te questo disio di star nella maggioranza, chi l'avrebbe mai detto. questa tensione nel non finire nel percentile sbagliato, per quanto non comune.

poi non significa che uno non possa aver un qualche tipo di timore. che son letterature, esperienze, suggestioni, incoraggiamenti, delucidazioni. ma poi sei un po' te lì, per i cazzi tuoi, inteso come sistema complesso endocrino e quello che gli gira intorno. una bella funzione di trasferimento f(dt) che chissà com'è che girerà mai. che si sostanzia come solo lei sa - inconsapevolmente, anche perché va per i fatti suoi, che la contezza sta da un'altra parte. e tu dietro e muuuuuto. al limite in vigile attesa. sperando di sbugiardinare. o di non dover smentire quel senso tra il rassicurante e lo sbrigativo del: son qui, mi spieghi e fugo i dubbi.

e così si mette sul piatto quella forma eterea, impalbabile, evanescente dell'affidarsi. roba che può bastare un doppio battito di ciglia e finisce il sogno, nel senso di roba onirica. che sono le sceneggiature dell'inconscio. rapido movimento di occhi e s'affoga quel che è centellinato e ammonticchiato nel tempo, come cosa preziosa e boa georiferita. che ho smesso di idealizzare le persone. ma poi non significa che di alcune ci si possa fidare. appunto.

anche se meglio non perder di vista l'infine. che tutto scorre, occhei, e non potrà che essere un infine che è in mezzo a tutto il resto del vivere. è un in fin che è tentativo di cavarne fuori qualcosa. che mica si fa senza apprensione, ma un qualche senso lo si spera ne esca. che tutto concorre, neh? ma poi forse non che prima si era felici senza saperlo. era proprio che prima era un'altra cosa. e ci tocca passare in mezzo a tutto il resto. tutti, ovvio. ognuno a suo modo. ognuno la sua patina che rende quel cicino più offuscato. ma è bene sapere che esiste, la patina. e non che c'è sempre stata, solo perché ora si è quasi abituati. è la consuetudine che frega, tipo i meccanici con la lingua [semcit]. 

che comunque ci son passati in mezzo in tanti. occhei. ed io avrei voglia di andare oltre la commozione quando mi videotelefonano il tramonto che sta finendo in acqua. avrei voglia di guardare sempre meno con lo sguardo verso il fuoco infinito, le spalle un po' curve senza saper dove andare a parare. avrei voglia di stabilizzarmi, non il moto browniano delle alternanze disperanti-massìchecelasifa. avrei voglia di cacciar fuori un sorriso, perché ci sarebbe poi un sacco di cose che vengono incontro per cui farlo, il sorriso. e non scansarle. che bisogna pigliare, non inibirne le captazioni.

non basterà. ovvio che non basterà. mica non lo so. speriamo non dis-funzioni.

sono arrivato a quarantanove donazioni. conto e mi auguro fragorosamente di arrivare alla medaglia d'oro. di cui non mi frega molto e che non mi piglierò mai. ma è il traguardo, che i simboli hanno ben la loro importanza.

bisogna fidarsi. bisogna buttarsi. bisogna provare. un po' di culo non si disdegna, nel senso di evento casuale positivo e favorevole. e che i sogni - onirici, ça va sans dire - continuino ad essermi amici.

ora si lancino in azione i selettivi. 




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