Thursday, January 27, 2022

qualche appunto di Memoria

in effetti faccio sempre un po' fatica a scrivere qualcosa per il giorno della Memoria. però non farlo mi farebbe sentire in difetto. meglio una frase scontata, piuttosto che il lasciar correre senza.

questa volta è più destrutturato. idee sparse. qualche appunto, acciocché possa continuare a fare Memoria.

il venticinqueaprile, continuo a pensare, è soprattutto ancora più bello perché è il venticinque di aprile. nel bel mezzo della primavera. roba che ha una fottuta potenza evocativa: è la nuova bella stagione che ormai si è sostanziata. e grida di gioia e di luce di rinascita. 

ecco oggi mi ha suggestionato il fatto che la giornata della Memoria ha una specie di evocazione simile, simbolica. il ventisette di gennaio i sovietici entravano ad auschwitz. la fine di gennaio è una sorta di spartiacque. è uno dei periodi più freddi dell'anno. c'è l'effetto accumulo dell'inverno. però già si  percepisce stia cominciando a mollare. che se ne uscirà. la luce ormai sembra riesca a farcela a sbucare, il giorno smette di essere timido nell'allungarsi. siamo lontani dal solstizio, i nodi di alba e tramonto si sposano più in fretta. fa ancora freddo. è ancora inverno. che è nella nostra memoria archetipa, che vi si poteva morire di freddo, di fame, di stenti. ne sono morti a milioni, di fame, di freddo, di stenti, di follia umana. il campo viene liberato alla fine di gennaio. è stato l'inverno del male assoluto. i soldati sovietici entrano e trovano umani che hanno smesso di sentirsi tali. chissà cosa avranno pensato. cosa avranno provato. come si saranno guardati. cosa deve essere passato nella loro testa, a quei pezzi di umanità offesi ed umiliati che - di colpo - si scoprivano ancora donne e uomini. faceva ancora un freddo fottuto, il freddo patito dal male del mondo. però l'inverno cominciava a mollare. se ne sarebbe potuti uscire. lunga e lontana la primavera. ma un po' meno.

già il freddo. ci ho pensato stamani, anche stamani. mentre pacioso e privilegiato sgranchivo le mie viziate membra al sole di metà mattina. sciarpona al collo. caffè fumante in mano. il cane dietro a ticchettare le sue unghiette sul trottatoio. il prato già vellicato dal sole senza più brina. quello ancora in ombra con un po' di patina ghiacciata. al sole, piccolo tepore. freschazzino intorno. da lì a poco sarei tornato in casa, comodo seduto a lavorare. ho pensato a cosa può essere il freddo vero. quello continentale. con pochi stracci addosso, brandelli di calorie ingurgitate a sostenere il corpo schiacciato dai lavori forzati. era un fastidio temporaneo, il mio. maglione, sciarpa, doppia calza imbottita, caffè fumante. brinettina lì accanto. cosa cazzo deve essere avercelo a mordere le membra, e saper che è strutturale, inevitabile, ontologico. e viverci dentro. quale patimento continuo, perenne, con la consapevolezza che sarà fin quando non finirai tu. con tutto il punto di accumulazione di quel male assoluto attorno. ho provato a pensare al freddo. uno degli elementi degradanti che costituivano la realtà di quell'esistenze. l'unico che posso condividere, provandolo, seppur per brevi tratti e temperature al confronto miti. l'unico di cui posso aver un qualcosa che si avvicini alla contezza. gli altri fatico anche a immaginare cosa possano significare.

pensando anche che lì dentro sarei morto centinaia e centinaia di volte. al netto delle selezioni. quante volte sarei morto di sfinimento, di fatica, di freddo.

c'è il capitolo in se questo è un uomo, quello intitolato il canto di ulisse, dove la fatica, il dolore della fatica, è come se uscisse dal quel libro - per me imprescindibile. tu sei lì, ti sembra quasi di percepire quanto sia urticante il contatto del metallo della trave che stanno spostando, con sforzi lancinanti. e nel mentre Primo Levi ed il greco, il compagno di lavoro quel giorno, provano a dialogare, i brandelli di greco antico che Levi ricorda da l'odissea, il canto di ulisse della commedia. quel contrasto tra l'umiliazione di quel momento di sopraffazione, che nemmeno a coloro che fatti furono a viver come bruti, con la levità solenne che è l'incoercibile tensione a seguir virtute e canoscenza. in quel capitolo c'è dentro un sacco della spaventosa immensità dello iato, tra gli estremali che possiamo raggiungere. che è stato raggiunto. quindi dentro di noi.

già. perché tutto quella roba lì, è roba nostra. siamo stati noi umana gente a immaginarlo, pianificarlo, ed attuarlo. è roba che sta nelle nostre corde. se l'abbiamo pensato è perché è possibile. è questa la cosa che non smette, proprio, di lasciarmi tranquillo. ne siamo siamo capaci, in potenza e non solo. l'aberrazione assoluta che contraddice il concetto di umanità. il fatto di considerare non-più-umani esseri umani per il fatto di essere qualcosa di teorizzato come non degno di esistere, di dover finire di vivere. ebrei, rom, sinti, omosessuali, portatori d'handicap, malati di mente, oppositori politici. non si tratta di aver fatto qualcosa, ma di essere. è una confutazione dell'essenza, per questo aberrante. per questo disorientante. [per questo, fatti i distinguo dovuti, in milionesimi, provo comunque un'inevitabile repulsione al concetto di clandestino. che sia un migrante o chiunque altro. quand'anche solo in ambito amministrativo: essere in difetto, per la legge, per il fatto di essere, e non di aver agito [o non averlo fatto] in un qualche modo].

ma se ad andare in una direzione è aberrante, in senso inverso vale il contrario. la negazione del male assoluto e dei suoi epigoni, è il concetto di giusto tra le nazioni. Moshe Bejski, che ha presieduto il comitato, è stato uno degli ebrei della lista di schindler. tra le altre cose si attivò per aiutare schinlder dopo la guerra, dopo i suoi fallimenti come imprenditore pezzottato. venne criticato, per il fatto si adoperasse per aiutare un nazista, cosa che schindler tecnicamente era [stato]. Bejski sosteneva che non è importante chi tu sia stato. ma è quello che hai fatto che può redimerti. chi salva una vita, salva l'umanità intera. è il ribaltamento del paradigma. salvifico. anche nell'accezione più laica, umana ed immaente del termine. Moshe morì il seimarzo duemilasette. per quello il seimarzo è la giornata europea dei Giusti, che si sono battuti contro i totalitarismi. che c'è stato il male assoluto, ma anche le sue declinazioni. ed ogni volta, almeno, vi è un Giusto a salvare l'Umanità.

[quindi un paio di piccoli incisi. fastidiosetti]

[il primo, che non riesco ad eludere da ormai tre anni. continuo a non riuscire a capacitarmi dell'assurdità lancinante della questione palestinese. e lo stato di apartheid strisciante e le contraddizioni di quella terra [che di santa ha proprio un cazzo], di quelle genti, di quel bubbone politico, e tutto il dolore che lo avviluppa, che è stato inferto e subito negli ultimi settant'anni, da tutte le parti. però capisco che è una questione fottutamente complessa, e tremendamente stratificata. che una cosa sono gli ebrei specie gli ebrei nel mondo, una cosa l'ebraismo, una cosa lo stato di israele, un'altra [e più ferale] il sionismo. poi che rimanga più affascinato dalla cultura e dalla storia ebraica, piuttosto che quella musulmana araba mediorientale è altro discorso, davvero altro discorso.]

[il secondo, che si fa via via più fastidioso, fino a sembrarmi disgustoso. vorrei non scrivere dei novacse e similaritudini, almeno oggi. ma ci sono aberrazioni della realtà che spingono alcuni di questi a paragonarsi a quel tipo di persecuzione. la versione delirante del frocio col culo degli altri. non so quanto in modo consapevole, ma sfugge loro il dettaglio che le limitazioni, pure quelle fastidiose ed importanti, sono legate qualcosa che [non] è stato fatto. non a qualcosa per cui loro sono. e che sono limitazioni temporanee, fino a prova contraria, al netto della distopia percepita dall'ossessione complottista. non ostnte le imprecisioni, le contraddizioni sono ispirate al concetto di salute pubblica. che poi significa noi. che poi è il cambio di paradigma dell'io, decisamente soverchiato da un individualismo solipsista. talmente soverchiato che si perde il contatto con la realtà. è proprio una questione di traveggole. e quindi ci si spinge anche a questi paragoni. in maniera molto, molto personale è una linea di demarcazione piuttosto netta ed importante. chi scavalla e deborda oltre quell'obbrobio finisce in una categoria - personalissima - ben precisa. non per quello che è, ovvio, ma per quello che fa, financo in termini di pensiero distorto, da una visione che è obnubilata da un'aberrazione ferale. aberrazione dal punto di vista figurativamente ottica, intendo. anche solo avvincinarsi, pure da molto lontano, a questa sacralità laica, e la Memoria che è dovere civico, è una bestemmia. sono agnostico, ma mi danno fastidio quelle religiose. figurarsi quelle civili]

che buona e imperitura sia la Memoria. è il minimo che noi si può fare.

[updt. se qualcuno dei tre-quattro, avesse poco più di un'oretta, può ascoltare questo, di Memorie riportate. e soprattutto l'intervista ad Edith Bruck, dal minuto 51, che è illuminante. credo davvero meritino.]

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