Monday, April 11, 2022

piccolo post di ubbie et contraddizioni /5: scarpe e traumi e abitudinamenti

faccio un post un po' così. con ancora meno senso.

nei campi dove i profughi ucraini transitano c'è bisogno di tanto, forse non di tutto, ma di tanto. e di scarpe. l'ho ascoltato per radio. da una cattedratica neurologa. è là a dare il suo tempo e la sua scienza. "quando non prestiamo assistenza medica, diamo una mano a sistemare gli aiuti che sono arrivati. vestiario ce n'è tantissimo. mancano scarpe. spesso nei momenti di pausa andiamo al supermarket, e ne compriamo". scarpe. mi è tornato alla mente una specie di detto, piccolo memento dovessero capitare situazioni tragiche. non ricordo dove lo lessi o come lo ascoltai.[non è escluso sia una suggestione di primo levi]. se sei in una situazione disperata e ti offrono del pane oppure delle scarpe, tu non esitare: piglia le scarpe. con quelle potrai andare a cercare del pane.

mi è tornato alla mente quella suggestione. forse perché è facile associarla a quanto più prossimo sia il concetto di situazione tragica. per quanto sia un po' minchioso esprimerlo, da qui al sicuro e al caldo, il concetto di situazione tragica. forse perché ho intravisto, per un attimo, il senso di quel camminare per giorni, chilometri. la fatica del fuggire lontano da quello che hanno dovuto lasciare quasi all'improvviso. è una fuga lenta, a piedi, e non so quanto debba essere faticoso anche un solo passo. allontanarsi dalla tua terra, chissà dopo aver visto le bombe, i morti, le rovine. ed andarsene chissà per quanto, chissà se vi tornerai, chissà cosa troverai in fondo a quel camminare, chissà cosa resterà dovessi rifare quei passi nella direzione opposta.

ovvio che alla fine hai bisogno di scarpe.

e ciascuno di loro sono [anche] traumi che si portano appresso. ogni persona morta è un chiedere come può l'uomo uccidere un suo fratello. ogni vittima è già troppo. figurarsi migliaia e migliaia. e per costoro mica ci sarà nulla che potrai mai ovviare, per ciascuno di questi stille di umanità. però forse sfugge un po' il senso del dolore di milioni di persone con le loro scarpe a sostenere quei traumi. una persona uccisa è già troppo. ma i milioni di rifugiati, i milioni di punti angolosi, i milioni di vite segnate e di fatiche a compiere ogni singolo di quei miliardi di passi.

non che non si possa provare ad alzar quell'attimo lo sguardo, e ripensare all'esponenziale di quel trauma improvviso che noi tutti si è vissuto, un paio di anni fa. abbastanza all'improvviso. che però non è stato necessario andar da nessuna parte. niente bisogno di scarpe.

quella che va è umanità segnata, che quell'ammasso galattico di merda che è la guerra ha picchiato duro. è umanità in cammino. attraverso il crinale piuttosto stretto delle nostre comode esistenze. che da una parte non siamo in grado di portare emotivamente tutto quel dolore - quand'anche provassimo a non guardare sempre e solo altrove. distogliamo, tanto, poco, lo sguardo perché ne saremmo travolti senza un senso sensato. dall'altra dovremmo provare a non abituarci. ad evitare di lasciar andare come una norma, tragica ma norma, tutto quello che succede. che poi è la somma di tutta quella umanità.distesa per sempre a terra, o che cammina. e che cammina perché vuole trovarsi al sicuro, che è la prima cosa che fanno capire loro, quando incontrano altra umanità che va a loro incontro, figurativamente ovvio. ri-abituare loro, per quanto possibile, all'idea di essere al sicuro da tutto il dardeggiare che ha poltigliato le loro certezze, i loro punti fermi, oltre al loro diritto di vivere in pace.

noi invece, che al sicuro continuiamo a stare, finché non ci si abituerà a tutto questo, sarà un esercizio utile. per mantenere il pungolo che quel buco nero di merda della gueraa non è una cosa inevitabilmente legata allla nostra natura. camminare un po' con le loro scarpe sfondate. per sentirlo passo dopo passo quel fastidio ontologico che parte dalle fondamenta. così che sia naturale, ovvio, il pensiero, l'idea, l'essenzialità di rejettarlo, ripudiarlo.

non abituarci. ovvio che costa fatica. è il mimimo che si possa far per loro. c'è necessità di questo, e se si riesce anche di scarpe.

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