Sunday, December 8, 2019

e le domande della conci [immacolata?]

di notte ho fatto gli auguri onomastici alla mia cummà.
indi mi sono coricato. apparecchiato la solita abbuffata di sogni strani.
appena sveglio sono sovvenute alcune considerazioni, come distillate, dal post precedente. è che quando sono un po' contento, tendo alla logorrea. anche perché mi si infilano una serie di pensieri che mostrano un loro senso, che ne innescano altri, che prendono senso, che ne innescano altri. e così via. alcuni di questi li scrivo. e sull'onda dell'entusiasmo provo a rincorrerli in rapporto uno-a-uno. quindi divento ancora più logorroico.
d'altro canto scrivo molto anche quando finisco nelle buchette, o il senso mi sembra di averlo perso del tutto.
quindi meglio l'altra di logorrea.
poi vabbhé l'amico professò, ieri ad un certo punto, mi ha scritto "calmati!". stavo condividendo i fuori artificiali emotivi del primo atto. fa sempre piacere quando qualcuno è pronto a condividerli con te [c'era dell'ironia, se non si era capito].
insomma.
il post di ieri sera è come il caffè compresso dentro il filtro della moka da uno, quella piccola. mentre lì accanto troneggia appena aperta la confezione famiglia.
alcune idee sono riuscite e infilarle dentro. è rimasta fuori un sacco di altra roba.
volevo riprenderle alcune, e rimarcarle. perché sono l'addentellato per un sacco di altra roba. che non so se scriverò, ovvio. anche perché è tutta roba molto più grande di me.
però ieri mi son venute alcune domande. che vorrei buttar lì. non perché abbia la riposta - è tutta roba ben più grande di me, appunto. d'altro canto le risposte, certe, univoche, inconfutabili, stanno scimmiottando di darle dei figuri, variegatamente loschi et perigliosi. e queste sono ripetute dagli emuli.
niente risposte, quindi.
penso possa essere più arricchente trovare le domande [forse] interessanti. e che nella mia testa, ieri, parevanomi assonanti con la storia del rapporto censis, i possibili antidoti personali, lo strabordare delle capitone, le sardine, i miei privilegi - in parte, financo lavorato per. e un sacco d'altro.
l'introduzione mi già ha portato via un sacco di posto nel post. quindi prendo solo spunto dalla prima, e la prima diffusa del santrambroeus come simbolica causa scatenante, in un luogo specifico, 'sta città moto a luogo del mio personalissimo progetto. è un qualcosa che, credo, sia simbolicamente significativa, 'ché si porta dietro sfaccettature, interessanti anche perché contradditorie.
quello è un evento topico. qualcosa di esclusivo, mondano, appariscente, elitario, sfoggio di presenzialità come testimonio di status sociale poco avvicinabile, contiguità col potere nelle sue forme sfaccettate, sfrontatezza di relazioni in essere.
è roba per nemmeno l'uno per cento. ci stanno quelli che sono arrivati. quelli che fanno parte di una elitè, variegatissima: dai parvenù ai [cosiddetti] professoroni. tutta gente che suscita, in vario modo, l'invidia sociale. specie da gran parte di quelli che hanno la percezione di non farcela, o che non ce la fanno. quelli che sono terzultimi, penultimi. quelli meno privilegiati. [parentesi, ma ho la percezione che costoro siano più incazzati coi [cosiddetti] professoroni, che coi parvenù. ma forse è una mia visione distopica. ma se così è, un suo senso ce l'ha. ma mica posso scrivere tutto adesso].
assieme a questo c'è, innervato e non districabile, l'evento artistico, di eccezionale unicità. la scala è [forse] il più importante teatro operistico al mondo. l'evento artistico unico, eccezionale, è l'opera che si mette in scena.
ed è talmente eccezionale, che concentra su di sé investimenti gazziGlionari. per un qualcosa che si ripeterà solo altre otto volte.
e fuori da lì piuttosto molto pochissimo d'altro. fuori da lì, come scala. fuori da lì come solo alcuni teatri e professionalità che vi girano attorno. non sono un esperto, ma da evocazioni degli addetti al lavoro c'è quasi da fare la fame. che recitare dia altre soddisfazioni che millemila altri lavori, occhei. ma la soglia della povertà è soglia della povertà per tutti.
e la prima diffusa, allora?
perché ne sono rimasto così suggestionato?
non è uno strapuntino? un succedaneo misero? un contentino alla stragrande maggiornanza diffusa, che magari pensa di esserne parte, solo perché va assieme ad altri a guardare la prima? una variante di preteso acculturamento rispetto il selfie con il potente o il famoso di turno? che questa prossimità, per quanto vista in tivvvvvù, dia l'idea di non essere escluso da quel topico elitario?
basta che la prima diffusa arrivi anche in periferia, per far sentire la periferia meno lontana dal centro?
è un lavarsi la coscienza che la prima diffusa arrivi a san vittore, al beccaria? quasi che l'animo illuminista e del laurà meneghino dia una carezza, laica, a quelli che sta bene stiano dietro le sbarre? mentre nel resto d'italia sia proprio lo stato delle carceri a testimonio di quanto si stia diventando sempre meno civili?
basta la prima diffusa, o ci vuole benaltro, benaltristicamente?
basta questo a definire una comunita? che poi significa riconoscersi dentro qualcosa più grande, che ci trascende, che è importante almeno tanto quanto noi singoli? un punto dove iniziare ad avere un ruolo sociale? che non ci fa sentire del tutto soli? specie in un contesto che può essere straniante come una città? e soprattutto nella città in cui, ormai, i single sono di più delle persone accoppiate, quindi in potenza ancora più soli?
che senso ha la prima diffusa?
perché ne ero così entusiasta?
per una cosa così eterea, sfuggente. ed anche difficile, complicata, che forse è anche necessario imparare ad apprezzare. come il buon vino ed il buon cibo. [solo che, in questo momento, il buon vino ed il buon cibo non vanno d'accordissimo con il mio stomaco. e costano molto di più.]
perché invece mi pare ci sia dentro una stilla di salvezza? è solo perché sto meglio, e mi pare di essere - al momento - non più tra i terzultimi, i penultimi, che ho la sensazione di potercela fare?
perché quell'eccellenza, diffusa e condivisa, per quanto elitaria, mi pare l'esatto antipodo delle cose urlate, sguaiate?
anche se sembra così tutto mischiato. dove l'urlo sguaiato è una specie di bordone di fondo cacofonico e continuo, l'eccellenza un volare etereo di un di un pomeriggio con le voci importanti e sublimi dei cantanti, del coro, la musica dell'orchestra.
perché è tutto così contiguo, eppure così nettamente diviso?
l'esempio sublime, di quella cosa elitaria ma diffusa, non è un di cui di un'altra cifra stilistica di porsi, di raccontare, di portare avanti le proprie idee? il modo ragionato, pacato, costruttivo, inclusivo che [tra gli altri] è l'intuzione più importante sardinesca [come declinerà, è altra cosa poi, ovvio].

insomma.
tutte 'ste favelle qui.
ce n'è di cui ragionarci sopra, e sbrodolare postico.
poi è mica detto che succeda.
ho poche risposte nette e definite.
ma mi vengono un sacco di domande.

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