Thursday, December 19, 2019

sul puntualissimo zeitgeist [post dei mood quasi antipodali]

questo è un post tipo da quelli del diario.
ci sono mood del personalissimo et puntualissimo zeitgeist. e lo spirito del tempo, puntale e del personalissimo senso del fluire delle cose, è ambivalente. in maniera quasi antipodale.

la pars denstruens è che non devo abbassare la guardia, credendo di scoprire un aziendalismo per cui, proprio, non sono stato sviluppato.
l'azienda medio-grande non è cosa per me. non è la mia dimensione ottimale. lo sapevo già prima di entrare là dentro. ma avevo da rimettere in sesto i conti, oltre che un futuro molto incerto. ho impiegato mesi et mesi et mesi di giornate a masticare [molto] amaro, per cercare di provare a prendere le misure su 'sta cosa. e magari provare a cambiare idea.
e invece nulla.
cioè.
non che non abbia provato a cambiarla. anzi. tanto che ho anche spalancato un po' le braccia in segno di [intesa] reciproca accoglienza. e invece tutto è tornato a scoppiarmi sotto il culo, quando meno me l'aspettavo. per quanto, aver tirato come un mulo per mesi et mesi et mesi, forse non ha aiutato. occhei la fatturazione. liquefatti i coglioni, però.
e quindi il mio pessimo rapporto con l'autorità. un sacco di pezzi più o meno grossi che potrei stracciare a trivial e nei fondamentali dei rapporti con il prossimo, per cui invece sono l'informatico dal cordoncino bianco consulente da fuori che, da trasparente, alla bisogna diventa utile.
forse sono stanco. forse do troppo potere a figurini piuttosto chiacchiere et distintivo: mica meritano di carbonizzarmi l'umore e la serenità. per quanto non riesco ad inquadrare con precisione dove abbia colpito il sassolino schizzato dal caso, per riuscire a far franare questo bel po' di materiale. 'sì che ci è finito sotto quel senso di identità, ruolo, costruito con molta fatica, ed ora ne vagoli alla ricerca da chi manco mi vede incrociare nei corridoi. figurarsi che ideona.
potrebbe essere una cosa congiunturale. e soprattutto è memento che il mio progettino è un altro. accumulare ancora un po', essere nelle condizioni di fare l'investimento grosso, accumulare ancora un po'. e poi riuscire a salutare tutti con un simpatico e riconoscente vaffanculo. riconoscente non foss'altro per il conto in sicurezza e per la contezza di taluni abilità che non immaginavo di avere - al netto della mia incompatibilità con le aziende medio-grandi. abilità che forse nemmeno meritano troppo, là dentro. informatico dal cordoncino bianco, persona trasparente, eventualmente utile alla bisogna.

che poi magari è il periodo, neh? ma in questi giorni ho trattenuto un sacco di vaffanculo. tipo gli starnuti, che comprimono perché non vengono uscitifuori. mi prendo il contentino succedaneo del post. e naturalmente: e a culo tutto il resto.

la pars construens è che una volta accastavo legna, appena fuori casa, ora non più.
per qualche anno, dopo la morte di mio padre, era una specie di rito di commiato domenicale. la catastra grossa della legna per il camino è qualche metro in mezzo al giardino. di notte, proveniendo dal tepore di casa, magari con la pioggia o la neve, sono pochi metri che è fastidioso fare. quindi la domenica ne accumulavo quanta più possibile nel cassone accanto al camino, dentro casa. o appena fuori la porta. era una specie di carezza che facevo a matreme. quasi per giustificarmi me ne stessi andando. e quindi - verosimilmente - fuggendo dalla mestizia sottile e permanente, tipo radiazione di fondo del lutto. un bordone continuo che ho percepito per tanto tempo, ancora dopo. e che nelle domeniche pomeriggio, poco prima partissi, specie quando sapevo non sarei tornato per quindici giorni, mi sembrava sentire riverberare. e quindi accumulavo legna, in piccole cataste anche azzardate. cercavo di metternegliene, lì comoda, quanta più possibile. fare in modo non dovesse attaversare il giardino per prepararsi la legna per la serata.
all'inizio dell'inverno portavo in casa la cassa della legna, e ne accumulavo quanta più possibile lì nei dintorni. alla fine dell'inverno riportavo la cassa della legna accanto la catasta grossa. sollevato che stesse arrivando la bella stagione. sollevato dall'idea, forse sbilenca, che quando le temperature si alzano e il giorno si allunga, il bordone di fondo della mestizia risuonasse meno intenso.
forse lo percepivo solo io. ed in fondo ancora non so quanto abbia fatto davvero pace con il mio di lutto. specie in questi ultimi tempi, ogni tanto, mi sovviene di domandarmelo, quando il groppo in gola improvviso, pensando certi pensieri, mi si concretizza e poi se ne va.
forse era una specie di moralizzazione della fuga lontano da lì. anche perché spesso tornandomene dopo quindici giorni, trovavo gran parte della legna non utilizzata. "non sempre ho voglia di accenderlo, va bene così ugualmente" la spiegazione di mia madre. così il rabbocco successivo era più rapido. ma sempre che ce ne fosse il più possibile. per potermene partire con l'idea ne avesse abbastanza, anche se mi sembrava non bastasse mai, non ostante non la bruciasse mai del tutto. senza accenderse il camino tutte le sere. come avrebbe fatto mio padre se ci fosse stato.
pochi giorni fa mi è preso il ghiribizzo di accendere il camino. in sala, quella sera, non ci sarei stato. però mi faceva piacere potesse starsene davanti alla tivvù, giochicchiando al piccì, con quel tepore in più. lei, a dirla tutta, nemmeno ne sentiva tutta 'sta necessità.
ma mi era preso il ghiribizzo.
e mi sono accorto che ho trasportato legna necessaria per una serata, e poco più. un solo piccolo viaggio, con il contenitore all'uopo con ruote, che se ne sta comodo nell'angolo accantao al camino. scomparsa la sensazione non ce ne fosse abbastanza. senza fare numerosi viaggi con carriole ben più capienti.
legna per una serata. quella che bastava. senza l'ansia sottile di accumularne come da farne scorta di prossimità, come non ce ne fosse mai abbastanza.
ed è sembrato tutto più leggero, serenamente il necessario. senza addossarmi l'obbligo di aggiungere alcunché in più.
una cosa che va bene così.
finalmente.

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