Thursday, December 12, 2019

l'italia del dodicidicembre

[post un po' retoreggiante, ma mi rendo conto di percezioni nuove, che sposano quelle che non solo non se ne vanno, ma è come se si barricassero].
non l'ho mai letto, o ascoltato espressamente. ma il deGre aveva visto lungo quando scrisse "viva l'italia". cosa peraltro tipica dei poeti. e cantò anche l'italia del dodicidicembre.
oggi è il dodicidicembre. che significa piazza fontana. che fu il [primo] punto angoloso della storia della Repubblica. dopo non fu più stata la stessa cosa. siamo tutti figli di quella strage. chi la organizzò voleva andasse diversamente: gli incidenti, i disordini di protesta, magari capeggiati dai partiti dell'estrema sinistra, dai movimenti, dagli anarchici. la scusa per promulgare misure eccezionali, per tutelare e garantire l'ordine pubblico, dare il la ad una svolta autoritaria. la giovane democrazia da soffocare nell'adolescenza. un sacco di reliqui del regime fascista in alcuni gangli: prefetti, questori.
invece non accadde nulla di tutto questo.
non ci fu la svolta autoritaria, ma non fu più la stessa cosa. e si produsse una frattura importante tra lo stato e gran parte dei suoi cittadini.
in questi giorni, ho ascoltato spesso, nelle considerazioni, ragionamenti, ricordi di avvicinamento al cinquantesimo anniversario, che quel tentativo di sovvertire i canoni democratici si infranse anche e soprattutto contro il silenzio composto delle trecentomila persone che assistettero ai funerali in duomo e dalla piazza. cittadini, lavoratori, gli operai delle fabbriche che scioperarono e parteciparono alle esequie. non accadde nulla. solo il silenzio rispettoso ed unificante, in una giornata piovosa, talmente buia con le luci dei lampioni accede a mezzogiorno.
milano e quello che gli stava intorno reagì così.
che non c'entrassero gli anarchici, che valpreda fosse innocente, pinelli assassinato e qualcosa di molto più pervasivo, pericoloso, putrido si muovesse al di là delle apparenze, io sono intimamente convinto, lo intuirono quasi tutti. forse percezione appena al di sotto della razionalità.
per quel tipo di razionalizzazioni ci vogliono gli intellettuali, che sono gli usignoli del vivere civile: percepiscono, prima e meglio, le fughe di gas delle miniere dei recessi delle storture delle istituzioni democratiche.
"io so, ma non ho le prove".
perché sono riusciti a non far arrivare ad una verità giudiziaria. ma ci dev'essere un'ostinazione ancora più grande, e inesorabile, e irrinunciabile, e indemandabile al dovere della memoria e al senso - istintuale - della giustizia che anela alla verità storica. e spesso alla fine ci riesce.
a mettere la bomba furono i nazifascisti di ordine nuovo. pezzi dello stato depistarono. è una colpa grave, che imbratta pure lei l'innocenza di una democrazia. e che allarga lo iato, di nuovo, tra lo stato e una parte dei suoi cittadini.
un sacco di gente si è sentita, più o meno consapevolmente, tradita da quel fare melmoso e parafascista. e si è sentita meno Stato. ha smesso di riconoscersi, o ne ha sfilacciato i legami nell'istituzione che ci trascende, a cui tutti apparteniamo ma da cui possiamo sentirci avulsi.
in decimilionesimi è anche in parte parte della mia di formazione e percezione. e non so quanto ci sia il pessimo rapporto che ho sempre avuto con l'autorità [istanza, che in altri tempi avrei discusso più con odg, che altri]. non so quanto dipenda dal fatto che, ad un certo punto della mia adolescenza, abbia preso come modello intellettuale un quasi sociopatico, cui suonavo accanto. lui figlio di quella ribellione movimentista che, negli anni settanta, lo portò a posizioni quanto meno contigue con situazioni limiti. fosse rimasto in città a studiare, chissà. tornò invece sul lago, a fare il giardiniere, che si presentava al lavoro col manifesto, con visioni critiche al massimo non comprese, più che da osteggiare. e lì in parte si neutralizzò [non avevo ancora dieci anni quando mi disse: "ricordati che l'unico errore che hanno fatto le bierre, è stato quello di ammazzare le persone". impiegai qualche anno per capirne il senso]. tutti filamenti in cui si sfilacciò gran parte del senso di riconoscimento e di appartenenza. un ulteriore mazzata ad una nazione che non era venuta su ancora compiutamente, anche per ragioni storiche, culturali, sociologiche, di arretratezza sociale. qui si allargava il fronte del sentirsi meno stato dalla parte segnatamente antifascista, la percezione del tradimento della resistenza: aver combattuto per uno stato che teneva dentro sé, proteggeva, coloro che quell'ordine volevano sovvertire. e che hanno "colpevolmente depistato".
per non riuscire ad arrivare ad una verità giudiziaria. e obnubilando quella storica.
ci sono i piani diversi.
così come ci sono i diciassette morti della bomba.
e c'è la caccia all'untore pianificata da tempo, preparata quasi scientificamente.
poi succede che pinelli viene gettato da una finestra della questura, fu suicidato come si affrettarono a cercare di cristalizzare nella verità posticcia che stavano montando [dettaglio su cui non ci si sofferma spesso: a pinelli venne chiesto di seguire dei poliziotti in questura la sera del 12, per un controllo. ci entrò di sua spontanea volontà sulla sua motoretta. fu fatto volare fuori dalla finestra il 15. per quei tre giorni si sapeva solo fosse in questura, trattenuto senza un mandato, un ordine di un giudice, uno straccio di pezza giustificativa di uno stato di diritto].
la cesura, e lo iato che ne è conseguito.

ci sono voluti cinquantanni. ma solo ieri il sindaco beppe ha chiesto scusa ai famigliari del pinelli assassinato. lo ha ripetuto oggi. ieri come oggi con addosso la fascia tricolore. come sindaco, in rappresentanza della città, quindi dei suoi cittadini, nati o adottati che siano. sono dettagli, ma si portano dietro un significato importantissimo. ci son voluti cinquantanni, e forse pure la serenità della consapevolezza che la memoria e la verità storica sono istanze impegnative. ma nel contempo sono lievi per la loro inevitabilità, se si decide di starsene dalla parte dell'onestà intellettuale e non solo.
ci sono voluti cinquantanni. ma solo in questo anniversario c'è stato un Presidente della Repubblica a presenziare a milano. e che mai, prima di allora, ha parlato di depistaggi da parte di pezzi dello stato e della doppia colpevolezza che ne è conseguita.

lo sapevamo già. ma sarebbe il trionfo del benaltrismo più destrutturante [spesso si sentono pure, ai microfoni aperti in radio] ignorare il fatto che in un discorso ufficiale, il più alto rappresentante dichiara quel tipo di colpe ha un valore simbolico fondamentale.
specie in un contesto e in un perimetro di sensibilità provate, offese, urticate dal tradimento di un pezzo di stato, che ha rinnegato la sua ragione d'essere: quello di rappresentare le istanze Costituzionali a tutela dei suoi cittadini.
ora.
pragmaticamente non so cosa succederà. nel mio piccolissimo continuerò a lavorare, cercando di fatturare il più possibile per il progetto in divenire. e tutto continuerà a scorrere. i benaltristi continueranno a strepitare, la sinistra - probabilmente - a non rimanere del tutto unità. altri continueranno a punzonare la pancia della gente, fondamentalmente perculandola.
ma ho la sensazione che tra ieri e oggi un po' di quello iato si sia ridotto, la cesura un po' ricomposta. e che possa essere ripensato quel concetto di rappresentanza che sembrerà meno lontano e avulsa, e di appartenenza che sembrerà meno aliena, di minore alterità. non sarà una cosa immediata. ma forse è più importante che il gradiente prenda una certa direzione. ed il resto potrebbe ricomporsi senza che ce ne si accorga. roba che rimane appena al di sotto del razionale.
ma che va. hai voglia se va.
ne abbiamo bisogno un po' tutti [e non credo sia solo una cosa del perché invecchio]. non foss'altro che i tempi che ci attendono non saranno così semplici. sia per la zona di comfort di questo mondo occidentale, che per il pianeta e l'umanità tutta. meglio affrontarlo un po' meno soli. e con un'attitudine più marcata a non doverci sentire altro, rispetto uno stato che sentiamo non esattamente il nostro, per quanto dovremmo essere anche noi.

tutte cose che, peraltro, il deGre aveva già capito quasi quarantanni fa, prendendosi dei cazziatoni trombonanti da un sacco di gente, che probabilmente pensava di sapere tutto. cantava, il deGre, "viva l'italia", quando quel concetto, da certe parti, era qualcosa di retorico, chiacchiere et distintivo, sentirsi altro. l'italia del dodici dicembre. l'italia presa a tradimento. l'italia con gli occhi tristi e colpita al cuore. viva l'italia. l'italia che non muore.

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