Tuesday, March 17, 2020

considerazioni non assembrate /4: ricorrenzismi/2

e quindi ci sarebbe anche l'altra cosa, di un ricordo piuttosto vivo, di un diciassettemarzo. di un altro diciasettemarzo intendo, rispetto a quando capii di essere finito in un'aziendina in cui ero minoranza nella maggioranza. zitto e muto e le frustrazioni conseguenti. e la voglia di mollare tutto. un malessere tutto e solo mio e che solo io, in fondo, potevo risolvere. tanto che non combinai nulla, per altri tre anni.
quest'altro diciasettemarzo, invece, è di solo un anno fa. quando qualcuno che, venuto da fuori, disse a quelli di là dentro una cosa del tipo: "ehi, raga, tutto rego? ci risulta non siate stati così attenti, facciamo che per adesso basta tirar dentro nuovi clienti!".
può sembrare un pezzo di testo di trap. e invece quasi chiusero la banca. per dire.
a dirla tutta la notizia uscì la sera prima, dopo cena. era un sabato sera, quando la gente pensa a divertirsi, o guardare c'è posta per te o calce viva per lo spirito critico simili, chi si ubriaca, chi balla, chi sballa, i più ardimentosi magari scopano pure. insomma, uscì in quel mentre, giusto per farla stare sulla home page di repubblica in quei momenti preziosi per una distrazione di massa. e la mattina dopo, già scivolata più in basso.
mattina in cui mi svegliai con una sensazione strana addosso. nel pomeriggio poi quel velo che s'andava a condensare in cielo mi si rifletteva dentro, come moltiplicato. ero a bookpride, a far come al solito il sociopatico in contesti molto stimolanti, dal punto di vista più o meno intellettivo. la gente se la godeva, ovviamente, mica era cosa che toccava loro. io, altresì, continuavo a tornare con la testa al fatto testé accaduto. un pensiero disturbante e che non mi permetteva di ascoltare con sereno e riposante psicopipponeggiamento chi parlava di libri, di scrittura, di creatività. quelle robe lì insomma.
fino a scoprirmi dispiaciuto per quel che stava accadendo. io che da là dentro in fondo volevo andarmene. io che contavo i mesi da quando ci ero arrivato. come scoprirsi aziendalista a propria insaputa. toh, e questo sapore amarognolo che mi vellica la bocca, cos'è? e perché mai mi sento financo in qualche modo responsabile, che mi faccio un discreto culo, che ho cubato forse una mese di ferie in quei più di cinquanta passati là dentro? come se gli sbertucciamenti sui soscial per là dentro fossero rivolti anche a me, e non posso liquidare la fazenduola con una cosa del tipo: io non sono nemmeno assunto per l'azienda di consulenza che mi manda là dentro, carne da fattura [ci cui invero mi prendo una quota consistente, neh?].
e non era nemmnemo paura di perdere più o meno il posto. per quanto ricordo la telefonata all'amica paola, più per rimettere i pensieri in ordine che per spiegarle cosa fosse successo. e lei che mi chiedeva se invece questo avrebbe potuto significare una qualche opportunità per me che "ti fai un culo così, non vorranno mica lasciare a casa proprio te. magari capiscono proprio ora quanto sei importante" [cit.].
ecco.
la cosa interessante è che è passato un anno. non esattamente semplicissio per là dentro. devono averci rimesso, finora, qualche diecina di miGlioni. e non ho mai lavorato così tanto come negli ultimi dodici mesi. e forse non sono mai stato così utile a far girare un paio di cosette nel contesto delle segnalazioni. sì, insomma, figurarsi che mi ritengono una risorsa strategica. non ci provo nemmeno a spiegare che in confronto, a capire la dimostrazione del teorema fondamentale dell'informazione, queste sono omogeneizzati di quisquilie, che quando ero giovane et speranzoso [peraltro financo un po' coglione per altri contesti] avrei fatto con la benda sugli occhi e con l'altra mano. lasciamoglielo credere e va bene così.
ma il senso del ritornare a quel diciasettemarzo è un altro, confrontandolo poi con quello di nove anni fa.
specie se li confrontiamo con questo e coi giorni che verranno.
quello più ovvio è che, in confronto, sono bagatelle.
che alcune cose sono tecnicamente semplici da risolverle, quasi banali. che poi non ci si riesca immediatamente è altra roba. importante, ovvio. specie quando l'impedimento ce l'hai solo tu, in testa. ma non c'è nulla di pragmatico che lo impedisca. e l'opportunità che ne può uscire è in fondo lì, basta allungare un poco il braccio. se la testa comandasse di farlo.
altre cose, dal punto di vista della complessità e dell'ampiezza del problema, sono molto più articolate e difficili da dirimere. e se coinvolgono gli altri e quindi me, c'è bisogno della collaborazione di più creature. ma a cercarle e adoperarsi le opportunità potrebbero essere nemmeno così lontane da cogliere.
e poi ci sono le cose che rimettono in discussione le certezze che erano talmente certe che - mediamente - mai avremmo pensato di potessero venire meno. non foss'altro per essere vissuti nel periodo con più anni consecutivi di pace nel vecchio continente, da un paio di dozzine di secoli. così talmente disruptiva in certi contesti che, probabile, non riusciamo a capirla così fino in fondo. da tanto è grande. sappiamo solo che veramente ci siamo dentro tutti.
mica gli effluvi della mia testa.
mica una banca.
tutti.
per questo continuo ad essere convinto, ogni giorno sempre di più, che tutta questa fatica, questa sensazione di fragilità, questa sofferenza, questo dolore [che pure sono cose molto più semplici di cosa capitate ad altri popoli, altre comunità, o che capitano ad altri meno fortunati ancora oggi] siano punti nodali della Storia che non possiamo e non dobbiamo lasciare, andare senza averci imparato qualcosa. è una maieutica, cazzo, duretta. quella in cui si impara di più, quando le cose rimangono per bene in testa.
una fottuta opportunità. e come spesso accade riluce il paradosso, duro e nodoso: tanto non l'avremmo voluta, tanto è preziosa e da non sprecare.

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