Saturday, April 3, 2021

sul sabato di pasqua - che poi sarebbe il mio giorno

due premesse a mo' di disclaimer.

questo è un post pasquale. nel senso spirituale del termine. lo sono anche gli agnostici, spirituali dico.

non è detto che non mi ripeta, come in altri post pasquali. posto che se non lo ricordo io, vuoi che se lo ricordino i tre-quattro affezionati?

non ostante tutti gli anni di agnosticismo, variegatamente sereno, la pasqua mi è sempre rimasta addosso. l'unico modo per non accorgersene è lavorare come un pazzo, di un lavoro che non piace tantino, in una situazione di eremitismo perdurante da mesi, nel bel mezzo di una pandemia. difatti fino a ieri non me ne ero accorto. quindi fino a ieri mi dicevo: vabbhé, sticazzi alla pasqua, a 'sto giro. magari gNente ragionamenti che solitamente condivido con la mia amica queenfrancy. che poi i [miei] blog sono un po' causa sua. gNente considerazioni mentre attendo con umore cangiante le campane che a distesa si sciolgono a festa, e che da anni ascolto da fuori la chiesa della veglia pasquale. ci son stati anni in cui mi hanno sferzato. quasi le temessi. quasi mi ricordassero il senso e la cesura anche dolorosa di quell'abiura. o forse semplicemente l'eco irrisolta di quando, più che convinto cattolico praticante, ero ancora immerso nella melassa del pre-gusto di tutto quello che di apprezzabilissimo - e conformissimo - avrei vissuto e mi sarebbe capitato. piccolo saccentello così affascinato dalla primavera e da quelle vertigini emozionali che nel sabato di pasqua si caricavano a molla.

già. il sabato di pasqua. non ho comunque smesso di passar per la chiesa dell'hometown. il pomeriggio. quando è già apparecchiato per il nuovo tempo liturgico: tutto bianco. e il sole entra esattamente in quelle vetrate ed esplode quella luce, quella percezione da evento che viene. chissà come sarebbe sentirne anche gli odori. quella è la luce del sabato di pasqua. verosimilmente è la luce di qualsiasi giornata di inizio primavera e fine estate. ma per me è la luce del sabato di pasqua.

ecco. sì. appunto. il sabato di pasqua. tecnicamente è il giorno tra il venerdì della passione e la domenica della resurrezione. a suo modo è un tempo sospeso. un qualcosa di non risolto. volendo catoneggiare un pochetto, è forse anche una metonimia del borbottio giudicante tipico di un certo cristianesimo. tu, società che rischi la perdinzione, te ne stai lì indifferente et pericolosamente paciosa. hai svangato l'acme della crocifissione [con tutta l'esaltazione pulp di quella simbologia] ma ancora non hai fatto tua la grazia salvifica della resurrezione. vedi di metterti un po' in riga e dis-ciularti fuori [poi dice che a uno non gli viene l'ansia da prestazione].

però io non voglio catoneggiare. tanto meno borbottare giudicante. e la notte scorsa ho pensato ad una cosa. che in fondo il sabato è il mio giorno. di me agnostico, dico. centrato più o meno stabilmente nell'immanente. perché un gesù di nazareth, piantato in quel punto della storia, è esistito: questo nessuno lo mette in dubbio. e se è esistito è inevitabilmente anche morto [parentesi: non ricordo se esistono documenti storici che possano dare per certa la morte per crocifissione, ma sticazzi - peraltro una fine davvero di merda, il supplizio e l'agonia più dolorosa destinata agli ultimi nella scala sociale, gli schiavi. o coloro che dovevano essere umiliati.]. quindi significa che - simbolicamente - questo è anche il mio giorno. perchè fino al sabato, immanentemente, ci siamo arrivati: tutti. uso la prima persona plurale per un paio di dettagli, non esattamente insignificanti. perché nella resurrezione [la domenica] ci sta la quisquilia del mito fondativo di una religione. religione che in circa poco più di due secoli si è saldata a doppia mandata con il potere temporale. quello che andava per la maggiore in quella parte di mondo su cui si è stratificata la civiltà occidentale. la nostra. con tutti i risvolti morali, culturali, antropologici giù per distese di secoli, fino a noi. quindi, volenti o nolenti ci siamo dentro fino al retrocranio. non lo si può espuntare. quella storia, quella cultura, fanno parte di noi.

poi. poi. poi. ovvio che nella mia tignosa convinzione in quel mondo di coinquilini, variegatino e non proprio da annoiarsi, io mi fermi al sabato. non riesco a fare quel salto trascendente. non c'è [compiutamente] il pesach, l'andare oltre in ebraico. la pasqua. non riesco a crederci che quel gesù storico sia risorto. quindi per inevitabile nesso fideistico-causale che nemmeno noi si risorgerà. quindi figurarsi se c'è qualcosa oltre la morte. tutto finisce quando il sistema nervoso centrale smette di donarci l'ultimo barlume di consapevolezza del sé e di esserci, in qualunque modo lo si percepisca. punto. [a proposito di trascendenza: tralascerei la questione della figliolanza e consustanza di un dio, che sennò si va fuori tema. che già fatico a tenermicivisi, nel tema].

il punto è che per eredità del [mio] cattolicesimo questo sabato non è che lo facessi rilucere poi tanto bene, neh? anche per quello la storia delle campane a distesa, che tanto mi disturbavano. come prendere atto che ero, rimanevo nel sabato. ma in quella domenica non ci sapevo andare. straniante. diverso da quello che mi ero immaginato. ma anche piuttosto inevitabile per quello che [non] sentivo [più].

ecco. probabilmente, senza lambiccarsi sul perché, ora credo di aver fatto pace con il sabato di pasqua. è un altro modo di far pat-pat sulle spalle al principio di realtà. qui sono arrivato. con tutte le mie irrealizzazioni, le mie frustrazioni, le mie incompletezze. ma anche con la consapevolezza che posso sfrancicarmi i coglioni fino ad un certo punto. ma poi anche basta. e prima finisco di smoccolarmelo, prima santificherò pure 'sto fottuto sabato. che ci sarebbe da rimboccarci le maniche qui. anzi soprattutto qui. per cercar di far del mio meglio, anche se spesso non sarà esattamente quello che ne verrà fuori. ma starsene nell'immanente. che è poi la cosa che conta, adesso, qui, ora. con un pensierino a coloro che si trastullano nel considerarsi immersi nella trascedenza delle campane a distesa, che si sciolgono a festa. quelli che le ascoltano da dentro la chiesa. e di come e quanto travisino e leggano solo la versione comodo-facilistica-da-difendo-la-tradizione il messaggio che comunque dovrebbe venire dal senso di quelle campane. l'inocularsi l'incenso della funzione che li inebria e li fa stare beati et appagati nella loro domenica. e si fottano quelli che non son venuti appresso a noi. e quelli più indietro, tanto poi ci sta la vita eterna, semmai se la saran meritata.

sì. insomma. va bene il sabato di pasqua. forse non è poi tempo così sospeso. è quello che ci è dato di vivere. venga come venga. specie se poi la domenica te la cerchi più o meno dentro di te. più o meno in solitaria. anche se l'operazione che non è che sia sempre così semplice. anzi. operazione che non è obbligatoria. ma mica chi non lo fa è automaticamente stronzo. no? per essere stronzi ci sono svariegatissimi modi. pure per quelli che ascoltano le campane da vicino, ovvio.

[piccola appendice a mo' di finale, anche se il post è già abbastanza lungo. occhei, io ho studiato altro. però è interessante notare che le corrispondenza resurrezione del cristo - vita oltre la morte è suriettiva. che è un modo per tirarsela per dire che l'idea della vita oltre la morte è istanza condivisa anche da altre religioni e cose che le si approssimino. al netto di un figlio di dio fattosi uomo e nato da vergine [peraltro di maternità di vergini si trova eco in tradizioni e miti in secoli ben A.C.]. quindi forse è un istinto che fa parte dell'inconscio più profondo di noi. la risposta più banale è che la consapevolezza di dover morire è così angosciante, nel suo mistero insonsabile, che dobbiamo trovare una qualche via di fuga. o elmento di rimozione. tipo: vabbhé, ma mica finisce qui la fazenda. ci sta tutto un altra serie di situazioni in cui ci ritroveremo, senza peraltro doverci più preoccupare della questione annosa che si deve morire. già risolta la menata. ecco. quindi, nel baillame carico di speranza distillata nell'epica della pasqua cristiana, c'è dentro anche questo. umanissimamente, peraltro. perché - forse - la paura dell'ignoto della morte, genera anche un desiderio di superarla in qualche maniera. son due facce della stessa poliedrica medaglia. certo. poi c'è chi piscia fuori dalla tazza e sostiene: saremo risorti nell'eternità. certo. da agnostico, razionalista e scettico penso che l'eternità sia un po' troppo. va bene l'esigenza di buttar il cuore oltre il mistero insonsabile. ma addirittura eternità: anche meno, suvvia. e qui si dipanano altri rivoli di psicopippa. che eviterei, in queso post. però butto lì delle suggestioni. tipo l'eternità genetica con il nostro corredo cromosimico nelle - eventuali - creature che si generano. l'eternità breve più foscoliana, la storia del "sol chi non lascia eredità d'affetto, poca gioia ha nell'urna" [cit.]. l'eternità liquida e condivisa del contributo che si può dare all'intelligenza collettiva: tanto o poco si riesca. ma è roba che è per tutti. pure quelli che passano in mezzo a cazzi più o meno grandi. ai punti angolosi. pure queli che falliscono. cascano. son tutt'uno con macerie. si perdono. e poi ci si ritrova. ci si rialza. e si ricomincia. ammaccati e un tocco più sfiduciati. ma si riparte. ecco, appunto: se non è resurrezione questa [e se un gesù storico fosse mai risorto, secondo me, gli darebbe pure un bel cinque: ben fatto, bro...]].




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