Sunday, November 23, 2025

amicoDiGomma

oggi compie gli anni l'amico guiTo. che poi sarebbe l'amicodigomma, che peraltro fu anche therubberfriend. io all'amico guiTo voglio bene, ed è una cosa che fluisce fuori bene senza sbadta, timidezza, ritrosie. non è qualcosa di ex-post. mi piace come mi venga.

e dire che non era iniziata benissimo, tra me e lui. anzi. proprio gli stetti sui coglioni. non so quanto centrassero i mocassini annacquati da un tragitto di un paio d'ore sulla neve, abbastanza frescazza. che l'amico luca e daniele occhei aprivano la pista, loro a sprofondare fino al ginocchio. e noi dietro, io entusiasta a prescindere, l'amico guiTo con i mocassini ed il suo colbacco. che quindi si prese una giaccata di neve [la giaccata d'acqua venne l'anno successivo]. così visse malissimo quello che per me fu uno dei capodanni più spettacolerrimi. entusiasmo per il cambio di vita che sarebbe venuta da lì ad un paio di mesi. sarei stato entusiasta ovunque e comunque [poi il cambio di vita non andò come lo pensavo. ma tant'è]. l'amico guiTo in parte già indirizzato a far grandi cose, non fosse per le ali tarpate. però con il malumore quella sera per i mocassini imbevuti di acqua, con la baita a contribuire ed i suoi tempi lenti scaldarsi.

poi i ricordi di quei primi momenti si fanno più confusi e sfumati. e l'amico guiTo spesso raccontato prima che sussunto in prima persona plurale. e mi tornavano evocazioni e aneddoti a volte da fumetto. roba tipo il baloon con scritto dentro: GASP!

intuivo avesse vissuto periodi del tipo vuoiCheMiMettaUnaScopaInCuloCosìTiRamazzoLaStanza. in quello lo sentii subito molto fratello. salvo poi scoprire che quei periodi lui li aveva messi alle spalle, brillantemente. io continuavo, nell'approccio, ad avere una radiosa carriera davanti. poi uno dice che me lo meritavo appieno l'incipit "caro Riccardo". e pure il perculamento che rimbalzerà finché ci sarà l'amico guiTo. e nel frattempo avevo smesso di stargli sui coglioni. e quanta roba nuova essere coinvolto anche con lui. 

l'amico guiTo è un musicista, nel senso di uno con la musica dentro. ma prima ancora l'amico guiTo è una persona di gran cuore. oltre che incarnare quell'anima metodico lineare che riluce in un contesto di traiettorie più sghembissime. come dentro la sua arte ci fosse un baricentro basso, basculate pure, voi altri, io più di quel tanto e poi ritorno in bolla. ne ebbi una certa sensazione il giorno della festa dei suoi quarantanni. in quella jam session acquese dove suonarono una fottia di amici suoi musicisti. lui a far da fil rouge sul palco con i suoi tasti, quelli bianchi e pure quelli neri. che serata memorabile. deve esserci da qualche parte un post, che scrissi sull'eco di quel momento da ricordiapppalla, bellissimi. [quanto era felice, quella sera, anche suo padre]. la sensazione che fossero tutti lì perché gli volevano davvero bene, un affetto strameritato. la sensazione in lui ci fosse, appunto, qualcosa di diverso, un'ontologica impossibilità allo sbraco. non è una questione di meglio o peggio. è roba di essere diversi. ecco. l'amico guiTo era diverso. 

l'ho rivisto recentemente ed è stato un ritrovarsi sereno, piacevole, rilassante. l'ho trovato bene, sereno, rilassato, nella sua risolutezza fumettosa. credo sappia esprimere al meglio il fatto che il tragitto più breve tra due punti in un qualsiasi spazio è la geodetica. e che sa percorrerla con la giusta levità ed l'impegno che non schiaccia. la percorre e se la gode, la geodetica. niente spezzate poligonali altere ed insieme autoironiche. niente percorsi che escono financo dall'iperspazio, sbucando in mondi paralleli. niente arabeschi, figurarsi vergati a mano mancina, che poi altro che incartarsi e aver la sensazione di non avanzare, quando di regredire. no. l'amico guiTo segue la geodetica. gli riesce bene e ti guarda con affetto ed anche un po' beffardo. ti sorride, stringe gli occhietti arrivando quasi a chiuderli e tu sai che potrebbe regalarti una delle sue chicche sinestesiche. 

che bello avercelo come amico, l'amico guiTo. fossi meno testadiminchia dovrei sussumerlo più spesso.

intanto, però, molto buon compleanno, amico di gomma!

Saturday, November 22, 2025

verdiano

se n'è andato anche l'aldo. se ne stanno andando tutti i coetanei di patreme. è il naturale svolgersi delle cose. è patreme che - per una volta - è stato molto in anticipo. tra tutti costoro, l'aldo che se ne va, è quello che mi ha colpito di più. non è ovviamente una cosa casuale. per quanto la cosa interessante, forse controintuitiva, è il contesto relazionale tra l'aldo e me. perché l'aldo ed io non ci siamo mai presi. anzi. non so se solo per una proiezione del rapporto aveva con patreme, per quanto credo si stimassero, a modo loro, per i tratti che serviva. non so se anche per il mio essere impacciato e intimidito da una figura che mi appariva spigolosa e burbera.

però l'aldo è stato la persona che mi ha insegnato la musica. è stato il maestro della banda in cui ho suonato. per quanto forse l'abbia lasciata anche a causa sua. credo sia stato così per molti, una figura importante dico. perché ha insegnato la musica a tantissime persone. e tantissime persone hanno suonato in banda con lui come maestro. e forse l'hanno lasciata anche a causa sua. chissà se tra coloro che variegatamente scazzarono con lui, in banda, ora prevale la riconoscenza o altro.

perché l'aldo era sicuramente un talento musicale. fosse nato in un contesto più favorevole, avesse potuto studiare da subito la musica, chissà cosa avrebbe potuto e saputo fare, chissà dove sarebbe arrivato. e se avesse avuto un approccio più morbido, meno tagliente chissà che direttore di banda avrebbe davvero potuto essere. posto abbia senso metterli quei se.

non era una persona facile. un po' la bizzarria dell'artista. un po' il replicare un modo di porsi da uomochemaidevechiedere. però poi mi son chiesto se 'sta roba qui non fosse una specie di corazza per difendersi. perché son piuttosto convinto dovesse avere una sensibilità ed una delicatezza interiore che, forse, voleva, doveva dissimulare con atteggiamenti più conformi ad altro. perché sensibilità e delicatezza interiore, credo, siano condizioni inevitabili per poter vivere la musica, come di certo la viveva lui.

per questo ne subivo un certo fascino. perché capivo, più o meno conscio, come la musica gli fruisse dentro. come forse fruisce dentro di me. molto probabile meno talentuoso di lui. quindi cercavo di sussumere il suo viverla e il suo possederla, la musica. sussumerlo là dove e quanto vedessi affiorarla 'sta cosa. quando non mi facevo allontanare da quell'aspetto del porsi che mi intimidiva, e anche un po' mi infastidiva. cercavo riferimenti. era il contesto ed il porsi che mi intimorivano.

credo mi stimasse, musicalmente intendo. me lo buttò lì, senza lasciarsi andare ad altri fronzoli il giorno che mi accompagnò a comprare il flicorno, lo strumento che aveva scelto per me quando si studiava per entrare in banda. fu un viaggio in cui per tutto il tempo stetti stretto in una sorta di tensione imbarazzata. nella sede della "rampone e cazzani", quarna sopra, quando mi porsero lo strumento, il mio strumento, lui, mossa fulminea, lo prese a sé e lo suonò: un paio di scale, qualche salto di terza. solo allora me lo consegnò: al và ben, tegn, provel. lui doveva essere il primo, come servisse una sua ratifica per dare il la - mai più calzante il la - a tutto il resto nella la vita di quello strumento. ius primae sonata.

non riuscivo ad entrarci in sintonia, come peraltro avrei voluto. perché non sarei del tutto onesto se non riconoscessi che ne subivo, in un qualche modo, il fascino. per l'autorità musicale che incarnava. per quanto sempre un po' a disagio, con l'autorità e con lui, ma era l'arte di cui era messaggero a coinvolgermi. un hermes spigoloso, che incarnava un certo paradigma: ma vuoi mettere il messaggio?

per questo mi colpì la sera della serenata della banda a sua figlia, il giorno prima del matrimonio. mangii, fioe, mangii. quasi affettuoso nei confronti dell'ultima nidiata di bandisti, noi quattordicenni. 

per questo mi sentii po' spiazzato quella volta che mi sentii quasi coinvolto da lui nel percepire il fruire della musica e come ci inondi. fu durante la pausa di una scuola di musica, mentre provavamo i pezzi del concerto. tra i quali "jesus christ superstar", nel senso di una riduzione per banda di alcuni brani. come punto di chiusura di un tema, prima di quello successivo, un paio di misure con una sequenza di accordi di conclusione, molto coinvolgenti. quella sera mi accorsi di quanto fosse bello quel passaggio. durante la pausa volli andare a cercarlo, sullo spartito del direttore, quali note, chi suonava cosa, quali intervalli. si accorse del mio sbirciare la sua partitura. venne a chiedermi, incuriosito. gli spiegai il perché, volevo vederli quegli accordi. e lì ebbi l'impressione che lui colse appieno il senso profondo di quella curiosità. come intuisse il mio cercare la sintassi, il segno razionale dell'emozione che quell'armonia di suoni produceva. che poi è un modo quasi sinestesico di farsela fruire, la musica. è tutta una questione di rapporti armonici, scansioni temporali, ancoratissimi nella precisione della matematica. che poi però espande in altri spazi. genera dentro quel mondo che ci riempie e scatena le sensazioni più disparate e coinvolgenti.

per questo credo amasse così tanto giuseppe verdi. un po' per formazione musicale sua, il musicista più importante della storia italica. penso che ad un certo punto abbia voluto guardarci dentro al fatto la sua musica  sia così potentemente delicata, sublime nel suo essere travolgente. io me lo vedo l'aldo, che scruta l'evolvere della partitura a realizzare quelle arie eterne. come si strutturano armonie così d'impatto. come compaiono note a realizzare quegli accordi verdiani così definitivi. di nuovo: la sintassi di quelle pietre miliari della musica. me lo vedo a vivere quella gioia intima di capire come questo si realizzi. che poi è un modo per possederlo. come afferrare anche solo per un attimo la fiammella che intuisci appartenga ad una specie di eternità, che fruisce da sempre e fruirà per sempre. io credo che tutto questo lo vivesse. e deve essere una cosa bellissima da vivere. per cui ci vuole una certa sensibilità e delicatezza interiore. non mi meraviglia si premurasse tanto di mimetizzare.

anche per questo ha composto delle marce per banda. erano una specie di sintesi di quella variegata complessità. un sacco di bemolli in chiave, alterazioni come mascolinità sul pentagramma. gli strumenti del controcanto - flicorni tenori, baritoni, tromboni - con ruolo principale e vigoroso. insomma lui, suonatore di trombone per cominciare, baritono anche [quello che suonavano i suoi figli maschi] che così marziale e risolutivo talvolta voleva mostrarsi. quanto meno le prime composizioni.

non so come poi sia arrivato alle ultime che scrisse. molto più morbide, bilanciate, a tratti delicate. addirittura in do maggiore [per gli strumenti in sib, ovvio]. ormai era troppo tempo che ci ignoravamo, anche solo incrociandoci per strada. però lì dentro ci deve essere stata una specie di evoluzione. o forse la corazza meno necessaria da indossare, il mimetismo meno ostentato, gusci più sottili. non so. forse era cambiato. o meglio: aveva deciso di mostrarsi in altro modo, più vicino al vero. difficoltà e malinconie compreso.

questa sera c'è il concerto di santa cecilia. per me è sempre un po' faticoso. non solo per l'aspetto emotivo del ricordo. anche per una certa spocchia snob, stratificatasi con gli anni [sono anosmico, ma l'orecchio di è raffinato col tempo. e si è fatto molto più puntacazzista]. penseremo a lui, all'aldo. tutto quello che ha significato e rappresentato. 

il fatto non sia stato semplicissimo stargli accanto - io di certo - non rimuove l'eco di quanto sia stato importante per un sacco di bandiste e bandisti. anzi, forse rende la cosa più complessa, quindi più umana. come l'armonia, complessa e umana, di un accordo verdiano. 

Sunday, November 16, 2025

venti

il giochetto a specchiare gli intervalli di anni funziona facile con gli addendi [relativi] tondi. quindi ho tolto ventanni all'anno di vent'anni fa. quindi quattordicenne. quindi pensare quanta vita, quanti cambiamenti, ci son stati in mezzo in quei ventanni. che sembra che il tempo sia davvero passato più lento, a farci stare tutto quel popò di esistere. incredibile il confronto con l'aggiungere questi ventanni all'anno di vent'anni fa. stessa quantità di mesi, giorni, ore, minuti, però durate e densità diversissime. almeno a pensarla di primo pensiero.

potrebbe essere la più banale dimostrazione della relatività, del tempo. ma mica non sappiamo che significa altro, la relatività intendo. che poi lo spiegano i neurologi, 'sta faccenda. vedi che tutta 'sta gran originalità vien difficile da tirar fuori.

forse che, osservando il punto angoloso, è come se lì si fosse fermato un pezzo di tempo. e non si schioda, e non si schioderà mai del tutto. lì si rimane, col tempo immoto di quel tempo di vent'anni fa.

non è più qualcosa legato al dolore. o forse sì, vai a capirlo. posto che vai a capire cosa sia davvero il dolore. forse matreme saprebbe spiegarlo meglio. posto che sono cose che si ha l'imbarazzo di chiedere. sicuro c'è il vuoto della perdita che ti riempie. e torna, come un bolo che sta lì, fermo, come quel pezzo di tempo che non va avanti.

è qualche notte che lo sogno, mio padre. anche se non è che sogni esattamente lui. è più un'evocazione. legata al pensiero, nel sogno, del suo rincasare. che però è la casa nella versione dell'adolescenza. è una presenza che c'è senza esserci. sta rientrando? torna? non torna? senza sapere da dove. e lo aspetto perché lo si incontri in cucina, la cucina dov'era prima. che poi è diventato il luogo, la camera da letto di casa sua, dove c'era e poi non c'è più stato. nel sogno so che deve tornare, come una normale giornata di lavoro di allora. nel sogno a volte temo il suo arrivo. e nello stesso tempo c'è l'inquietudine di capire se ha un senso il suo rincasare. io ne sono sollevato non torni, temo mi debba o possa riprendere. e nel mentre sono turbato non torni, come se si sostanzi un senza senso.

non so se è malinconia, nostalgia. una presenza che non ho mai saputo sussumere del tutto. e che di colpo, vent'anni fa, puff, non c'è più tempo per farlo. come ti togliessero in modo un po' fraudolento cose. 

e ventanni poi a rosicchiare tocchettino a tocchettino il gran rumore di fondo. scavare e scavare a provare a capire cosa fosse capitato, il perché e il senso di quella mancanza. la primigenia specie di competizione più o meno dichiarata. anzi, più meno che più [qui odg potrebbe andare a nozze]. che ha riverberato, ha portato tutta una serie di effetti. non è colpa di nessuno, ma son qui a farci i conti. se non a scazzottarci, ogni tanto, con 'sti effetti.

ora, vent'anni dopo quel pezzo di tempo che si è fermato, anche il quel bolo è lì che non passa da ventanni. e che passarci accanto ti fa quel quel sottile sgomento. a guardarlo riemerge la fatica dolorosa e lieve di quei giorni. ma continui a girarci attorno, come fosse una massa importante, che ti fa fare dei gran giri gravitazionali. non si fugge, si ritorna. un gran bell'ammasso di cose non risolte.

 

sono appena tornato dall'evento di chiusura di bookcity. che collima ogni anno con questi giorni. dialogo tra un teologo eretico ed un romanziere agnostico che accompagna il papa [quello di prima] alla fine del mondo. a discorrere di un mondo senza dio. si è parlato - tra l'altro - di vita eterna. e di un ritorno a ritrovarci. mentre camminavo tornandomene ho pensato che sì, sarebbe bello e perché escludere a prescindere non possa essere vero? [questo potrebbe essere anche un foerstriiacciionsciòc]. e che fosse così mi piacerebbe chiedergli, parlarci, discutere, esserci per entrambi. colmare quel vuoto. che quel sogno, insomma, abbia un suo compimento, un senso, per non aver più più ragione d'essere sognato [al netto che ci si dovesse rincontrare nell'eternità, dubito ci sarà la necessità di sogni onirici. così, occhioecroce].

Sunday, November 9, 2025

tunél

avevo dismesso il casco, rosso, poco più di ventiquattrore prima. il casco che mi aveva prestato fratt'me, oltre gli occhiali di sci. "sono fichissimi, questi occhiali. molto gentile tuo fratello a prestarteli". aveva chiosato così il bel fenomeno. avevamo sciato tutto il giorno. la terza volta per me, quest'anno, dopo più di trentanni lontano dalle piste. 

quel giorno mi era parso di sussumere tratti di autentica felicità. [lo avevo capito, colto. gliel'avevo detto, quasi intimidito e col cuore pieno di quella cosa bellissima. eravamo al termine di un pianoro, prima della discesa. qualche giorno dopo, accusato di non essere sufficientemente entusiasta [tra l'altro], avevo fatto cenno a quell'accenno. che però è come non fosse proprio stato. evaporato]. 

il casco rosso stava nel bungalow dellammmmmore. proprio quando ebbi la percezione di aver di fronte la persona sbagliata. un personaggio ben poco avvezzo, quasi incapace di ascoltarmi. e lì cominciai a capire l'errore. e le cose cominciarono a venir giù.

accadde quando mi chiese di parlarle di mio fratello. era un discorso che le avevo anticipato durante le grandi conversazioni nelle chiamate internazionali delle settimane prima, quella che avevano creato il climax per arrivare lì. casco rosso e occhiali prestatimi. mio fratello ed il mio rapportarmici negli anni fondamentali: un punto, importante, cruciale. provare a condividerle il guazzabuglio di emozioni, sensazioni, percezioni che sto provando a mettere assieme da tempo. cercare di raccontare un pezzo di vita, di affetti, di legami che non ci sono stati, di fondo per causa mia. per quanto involontaria. per ancora meno volontà sua. provare a colmare una mancanza che si è sostanziata col tempo, che rimarrà tale, probabilmente. quella specie di coda di paglia di sentimenti annebbiati, per cui "sai, scrivo un post il giorno del suo compleanno, è un po' di anni che lo faccio. chissà se avrò mai il coraggio di farglieli leggere. e se qualcuno, dovessi non esserci più io ma essere ancora online, gli farà sapere esistono". era un ammasso emozionale quello che avrei voluto condividere con lei. non tutto subito, ovvio. ma di certo una delle cose più importanti e segnanti mi affollino dentro. portato di quello che è accaduto da quando è arrivato lui. condivisione importante con una persona importante. c'è anche questo di me, mi piacerebbe tu lo sapessi.

c'era tutto questo, e molto altro. era lì per essere centellinato piano piano, quando mi chiese di parlarle di mio fratello. avevo tanto da raccontarle e da condividere. era tanto, non mi aspettavo fosse troppo. per quanto non mi meravigliai quando mi resi conto di non sapere esattamente da dove iniziare, quando iniziai a parlarle.

non ci mise molto, a me quasi sembrava di non aver nemmeno iniziato. impiegò pochissimi a rendermi partecipe delle sue considerazioni didascalico-tranchant, tipo lamette ghigliottinanti giudicanti. dall'alto della sua esperienza di figlia unica giunse alle sue prime definitive conclusioni. ed io, lì, in quel momento capii plasticamente, di aver di fronte la persona sbagliata.

poi il resto venne giù nel giro di una dozzina di giorni.

non fu nemmeno 'sta gran epifania - negativa - improvvisa. ma come se il velo si fosse squarciato di colpo. che già avevo intravisto e intuito cose. ma ancora troppo dentro quella specie di inganno che si scambia per innamoramento.

quando provai a parlarle di mio fratello capii.

e sono contento sia accaduto proprio grazie a questa cosa. averne contezza provando a condividere proprio quello.è un modo per restituirgli un pezzo di centralità che non sono mai stato capace di dargli. era e rimane un passaggio importante. soprattutto per quello che non è stato. non è tanto il rimpianto, quanto un dispiacere sottilesottile per tutto lo l'ingarbugliato che mi sono portato appresso per lustri, e che ha in qualche modo pagato anche lui.

per quanto siamo diversi, per quanto a tratti distanti. aver dismesso l'abito giudicante è stato un regalo di cui, forse ben più di altri, ha fruito lui.

anche se rimango in questo limbo. dove gli scrivo i post. ma non faccio in modo li legga.

dove peraltro potrei ricordare quel tardo pomeriggio di questo inizio settembre. quando abbiamo coperto il tunél assieme. dopo mesi di continuo rimandare la sostituzione della copertura ormai a brandelli. mi son ridotto all'ultimo giorno utile dell'estate. gli ho chiesto titubante di darmi una mano. senza troppe ragioni peraltro, la titubanza intendo "beh, sì, ovvio che ti do una mano". sono state tre ore intense di intesa, con un fondo di imbarazzo che non sono riuscito a cacciare del tutto. a cose fatte abbiamo osservato il lavoro finito con una certa soddisfazione. gran ben fatto, soddisfazione ben riposta. gli archi raddrizzati, la travettina centrale in un'unica soluzione e consolidata, telo antigrandine ben disteso, centoquarantotto metri quadri di cellophane long-life a coprire il tutto. come un suggello avvolgente a chiudere quel tardo pomeriggio in cui è stato bello lavorare con lui. fare qualcosa assieme, ognuno col suo contributo.

ci siamo ringraziati a vicenda. e forse ho pensato che è stata cosa buona e giusta che la storia col fenomeno abbia cominciato a finire quando non riuscì ascoltare di me e di lui.

buon compleanno bro

Saturday, October 25, 2025

capito

io so di essere nella parte destra della codina. so di essere fuori dall'ordinario. so di valere. so che ho tutto quel mi serve per riuscire, fare, realizzare.

è che non l'ho [ancora] capito.

le cose quasi esclusivamente mi capítano. non ne sono quasi per nulla il capitáno.

[e caso mai l'avessi capito, forse l'ho dimenticato]

Friday, October 17, 2025

ronzinante

in questi giorni la radio è in campagna abbonamenti [abbonatevi]. che significa, tra l'altro, che il palinsesto è rivoluzionato, manco l'ottobre rosso del 1917. e le trasmissioni sono una shakerata di coppie improbabili di conduttrici e conduttori. provano a convincere scrocconi che ascoltano senza essere abbonati, appunto, ad abbonarsi [è il caso che vi abboniate]. i microfoni sono aperti. e partecipano tutti. anche i già abbonati, ovvio. ed è bello ascoltare quelli nuovi che l'annunciano: l'ho fatto. è tutto molto conviviale, da comunità di ascoltatrici e ascoltatori, molto radiopopolare. è un interessantissimo caos creativo, tra il cazzaro ed il serissimo. spesso il tema della conduzione nasce per caso. un continuo ping-pong con chi ascolta. [e comunque l'abbonamento è cosa buona et giusta].

stamani ero in ufficio. alle 09:00 va in onda il bacchetta in coppia con non ho capito bene chi - nuovo, mai sentito prima. l'abbonaggio col bacchetta è interessante tanto quanto il suo tutto scorre. in abbonaggio diventa un po' perculante, un po' auto-ironico, un po' dal ragionamento finissimo. bel mics. [come si fa a non abbonarsi quando c'è questo bacchetta, così]. mentre lavoro provo ad ascoltare tratti di conduzione, poi mi chiamano per quello, mi chiedono quest'altro, mi contattano per dei bei pezzi e rognette. insomma. seguo poco la conduzione. capisco solo che stanno cercando il nome per la nuova bicicletta scattante dell'altro conduttore. nel mentre arrivano anche nuovi abbonamenti [abbonatevi].

ad un certo punto, tra messaggi, chiamate, mail spunta ronzinante. per il nome della bicicletta intendo. 

ronzinante.

ronzinante, non mi è nuova. deve averla usata qualcuno, da qualche parte. non mi sovviene chi e dove. così ci pensa il bacchetta a chiarire il dubbio. prima fa partire un brano, che sembra siano due. poi chiude un po' di applicativi sul computer della conduzione [così si autodenunciò]. poi, dopo qualche attimo, fa partire il brano.

lo riconosco subito. ecco dov'era ronzinante. nel don chisciotte. la mia ignoranza è sconfinata. e lo ricordavo dalla canzone del guccio. brano dell'ultima parte del suo repertorio. che ho amato quasi sperticandomi, quella canzone intendo. che cantavo a squarciagola ormai lustri fa. sognando addirittura di farlo in duetto con qualcuno, su di un palco. cose così. canzone pazzesca. canzone bellissima. canzone di uno che quel romanzo deve averlo introiettato, come le preghiere quando vai all'asilo dalle suore. canzone con dei versi che son ricami elegantissimi. canzone con una trama musicale ed un crescendo dell'arrangiamento, della tonalità, che è un vortice, come il pathos ascendente del testo.

canzone che avevo rimosso. il pathos del senso di quell'epica annebbiato, scolorito. e non è solo la mancanza degli inibitori dei ricaptatori serotoninergici. è proprio il senso che mi manca. figurarsi uno scopo. roba così.

e quindi ho interrotto quel che stavo facendo, per godermi il momento. la canzone a sciorinare i suoi versi, le sue note. ogni tanto rientravano a parlarci sopra - è pur sempre una conduzione di abbonaggio [perché bisogna abbonarsi]. nuove proposte per il nome della bici che al fin si chiamerà bella cià. intanto si capiva che il bacchetta voleva proprio ascoltarsela quella canzone. come volevo farlo io. e quindi via, abbassa i microfoni di conduzione, il la al crescendo del brano.

ascoltavo ad occhi chiusi. ascoltavo. e di colpo mi è tornato in mente perché adoravo quella canzone. quell'insopprimibile voglia, necessità, tensione di averci sul culo l'ingiustizia. pensando a quanto sia - se possibile - ancora più attuale oggi, rispetto a venticinque anni fa. ora che sembra valga tutto e non sembra vedersi un tappo, in fondo al pozzo delle cose che possono andar peggio. ora che ancora più evidente che "il potere è l'immondizia della storia degli umani", e chissà cos'altro potrebbe ancora inquinare, intossicare, avvelenare.

ascoltando, pelle d'oca, quasi un mezzo magone, è come se si fosse acceso un lumicino. un senso, se non uno scopo, come quello di non arrendersi e "farsi umili ed accettare che sia questa la realtà". avercelo dentro, come elemento fondante, sputare il cuore in faccia all'ingiustizia, le storture del mondo. mica non lo so che continuerò a vederle, leggerle, ascoltare di tutto questo. mica non lo so che non evitare di leggerle, ascoltarle, non ignorarle contribuisce ad aver bisogno degli inibitori dei ricaptatori. mica non lo so che passerò oltre, come un potenziale sancho panza de noartri. ma il punto è che posso esser portatore di quell'istanza. insieme a tutta una fottia di consimili, che 'sta cosa ce l'hanno dentro da secoli. e che continuerà per altri secoli ben dopo di noi, della radio, del bacchetta e dei don chisciotte contemporanei. un anelito insopprimibile. dentro in quel flusso in cui transita un pezzo di umanità. ci si può sentire parte di qualcosa che, appunto, ha uno scopo che ci trascende. nell'immanenza delle cattiverie umane. quelle piccole noiose e fastidiose. quelle che generano gli abomini.

sono stati attimi radiofonici musicali in cui è come se ci fosse stato un click. come a fermarsi nel mentre si scava la buchetta, alzar il muso ad annusare lo sguardo di quel che c'è fuori. roba così, di colpo. attorno alle 10:20 di questo venerdì. sarà stata pure la minima densità plasmatica degli inibitori. sarà stata la musica ed i versi del guccio. sarà  stato che il bacchetta proprio si capiva che voleva far[se]la ascoltare fino in fondo quella canzone.

però, quell'attimo, è stato davvero bello. rincuorante.

il finale da sceneggiatura sarebbe stato: io che mando un messaggio [mai chiamato in diretta], raccontando dell'emozione della canzone e, ringraziando il bacchetta, annuncio di un abbonamento sospeso o dell'ennesimo ritocco al mio di abbonamento. ma ero troppo assorto e stordito da quel piccolo riverbero. osservavo il monitor del piccì quasi in trance. ma meno di-sperante. ero lì ma in quel momento ero altrove. e poi il bacchetta ha salutato tutte e tutti. conduzione terminata. sotto altri due.la campagna abbonamenti continua.

[ed in ogni caso, abbonatevi. per una informazione [di altissima qualità] libera da padroni e condizionamenti editoriali].

[e comunque mica detto che l'abbonamento sospeso non lo faccia ugualmente...] 

Saturday, October 4, 2025

sumud

naturalmente questo è un post in ritardo.

nel senso che ce l'ho in testa da giorni. da quando la vincibilissima flottila era tra le notizie per i soli cultori della materia. roba nelle pagine interne dei quotidiani.

avevo in testa del perché, proprio poiché vincibilissima la flottilla, sarebbe comunque stata imbattibile. perché avrebbe funzionato. giuringiurello che immaginavo, pensavo, sapevo quello che sarebbe accaduto. con tutti i risvolti per cui molte coscienze si sono accorte [stavo scrivendo svegliate. troppo tronfio come verbo. le coscienze ci sono. bisogna solo aver la voglia di sintonizzarle]. 

avevo anche ipotizzato possibili altre conclusioni. che la tracotanza di quel governo criminale avrebbe usato altri metodi, altra violenza. convinti, nella loro visione delinquenziale e delirante, che avrebbero potuto farlo, e nulla sarebbe accaduto. non è andata così, fortunatamente. e non credo perché siano più avveduti di quello che la mia percezione [frustrata] possa pensare. non credo si sarebbero posti problemi ad usare forza bruta e letale. forse è che, semplicemente, hanno fatto capire loro sarebbe stato davvero troppo. forse, chissà, anche consigliati per le vie diplomatiche.

e invece è andato in altro modo. e la assoluta vincibilità della flottilla l'ha resa imbattibile.

perché è davvero molto più chiaro, acclarato: assaltare barche ben fuori le acque territoriali non è difesa. è pirateria. che voler forzare un blocco navale illegittimo non è atto irresponsabile [fraella dixit], è dimostrare l'illegittimità del blocco.

è far vedere, plasticamente, l'arroganza di chi se ne fotte del diritto internazionale. è metter un bel cuneo nel ragionamento un po' automatico di quel che accade ogni giorno. quello non si può fare. toh, l'avevamo dato per scontato. con l'arroganza dello status quo. non è normale quella roba lì. è invece il modo in cui opera un governo criminale. se ce ne fosse bisogno diventa molto più immediato, consequenziale, accorgersi ancora del crimine epocale stanno portando avanti nella striscia.

guarda cosa possono fare una quarantina di barchette, e l'utopia di portare aiuti umanitari. ribaltando quello che non hanno saputo, potuto, voluto fare i governi. 

per forza tutto ciò sta mandando in eccezione software tutta la cozzaglia governativa nostra, con i tromboni della propaganda conseguente. è roba talmente auto-evidente, che puoi contrastarla con variegata disonestà intellettiva. pronti via la si percula e la dileggia. oppure cerchi il pelo nell'uovo, tanto capzioso quanto ridicolo. ne fai una questione pratico-ragioneristica. tutto pur distrarre dal valore simbolico, alto. che magari questi proprio davvero non colgono, talmente piccoli sono. alla bisogna ci son le insinuazioni su chi ci stia dietro. è la batteria della disinformatia. bisogna distrarre l'attenzione.

la flottilla non pretendeva di risolvere il problema degli aiuti che non ci sono, ovviare alla carestia come arma di guerra [dice: servono centinaia di tonnellate al giorno, avete impiegato giorni per portarne poche decine. se vi interessava portare gli aiuti, potevate lasciarli a cipro li avrebbero consegnati]. ma ha reso lucido e lampante, se ce ne fosse bisogno, quanto è immondo l'affamare un popolo.

sono persone, cittadini, che hanno deciso di starsene un po' meno col culo al caldo e al sicuro. a fronte dei governi e la loro inazione: partendo dal non ci si riesce, fino alla complicità di coloro che non vogliono far nulla. ovvio che, quanto meno, attira l'attenzione. e se c'è l'attenzione diventa sempre meno semplice continuare a pensare: è normale sia così, quello che succede laggiù. e diventa sempre più semplice arrivare alla conclusione che un governo sta compiendo un genocidio. e di quel governo non si vuole essere complici, figurarsi amici.

ed anche la flottilla, vincibilisima, ha dato il suo contributo a far accorgere le coscienze. mica serve essere attivisti, basta essere portatori di umanità. coscienze che lo sanno: no che non è normale. sì che laggiù l'umanità è umiliata. e no che non puoi permetterti di continuare farlo. e sì che sei dalla parte sbagliata della storia.

e sumud, la flottiglia l'ha fatto con la non violenza. che è l'avanguardia rivoluzionaria. non ostante o forse proprio perché assolutamente vincibile. che non potrà fermare il genocidio, non almeno in modo diretto. ma sarà sempre meglio essere vincibili, piuttosto che indifferenti. che poi è così che si comincia a diventare complici.

Tuesday, September 30, 2025

paradigma

da domani, l'amico luca, vivrà il suo nuovo paradigma. l'amico luca si è licenziato, oggi il suo ultimo giorno di lavoro. nel senso che è l'ultimo nell'accezione più ampia. nessun complemento di specificazione di quello che verrà dopo: dimissioni per nuova assunzione. né, savààààsandiiir, la pensione. no. non ci sarà un nuovo lavoro ad attenderlo. almeno non immediatamente. almeno non necessariamente. se non è un cambio di paradigma questo. 

ed in fondo un po' lo invidio, l'amico luca. piacevole invidia da quando me lo disse, del cambio di paradigma (*).

e non per la sensazione del primo acchito: smetto di lavorare. perché credo non sia una scelta così banale. poi sì, certo. se lo può permettere. il contesto che lo circonda, l'agiatezza che ha deciso va bene quella, la possibilità di scegliere e dire: adesso basta, voglio poter tagliare l'erba di casa la domenica, ed il giorno dopo rimanere a godermelo, il prato, il taglio. se lo può permettere ma non è scelta semplice, o così scontata. in un modo o nell'altro un tocco di orror vacui penso gli si spalancherà sotto.

però ha scelto di riprendersi quello che, sempre e comunque, il lavoro ci conculca: il nostro tempo. che vabbhé che siamo privilegiati, ché a noi è richiesto il mercimonio della nostra intelligenza. puttane intellettive. e come le donne che mercimoniano il loro corpo ma non la loro anima, noi la nostra intelligenza vendiamo. ma non ce la portano mica via, quella ci rimane. però il tempo no, quello è conculcato. e non torna mica indietro. né qualcuno ce lo restituirà.

l'amico luca si è ripreso il suo tempo. e farlo con la consapevolezza di averlo deciso, è come se avesse stabilito un patto. un nuovo contratto con una delle cose più preziose abbiamo. da goderselo al meglio e nelle migliori condizioni possibili. meno coglioncelli spregiudicati dei giovanotti, ancora ben in bolla. una combinazione mica da poco. consapevolezza nella salute.

però sceglierlo è un privilegio e una responsabilità verso sé medesimi.

io ce l'ho avuto del gran tempo a disposizione. tratti della mia vita dove ne avevo a iosa. peccato fosse un'abbondanza non ricercata, ma subìta. e in contesti di precarietà, autosima presa a martellate, costrizioni, fallimenti, lutti [poi vabbhé, avrei potuto vivermela meno peggio, occhei. ma poi dove lo trovavo tutta la messe per i post giaculatori? eppoi, che avrei bisogno, altrimenti, di una brava?]. quindi mica lo rimpiango, quell'abbondanza di tempo. anzi.

ma a sceglierlo sì. cazzo se mi piacerebbe. riprendermelo.

l'amico luca un po' lo invidio. ma lui 'sta cosa se l'è ampiamente meritata. e non solo perché mentre io giocavo a palla contro il muro nel campetto dell'oratorio, lui già disputava campionati importanti. capace e più sul pezzo, centrato, ingranato con molta determinazione e convinzione. mica farfallone idealista. tipo io sbattevo i piedi che volevo farlo, il telecomunicazionista, per poi scoprire quando me l'hanno fatto fare, che non me ne fregava granché. peggio: avevo sbagliato facoltà. e quindi altri cambi, altri tentativi altri campetti polverosi di periferia. mentre l'amico luca cambiava casacca, pronto a far da titolare in cempions.

poi non ci è andato. per scelta. per carattere. per spigolosità. non che gli mancasse lo standing per farlo.  anzi. sa essere cinico quel che serve. è che per quelli capaci è molto raro siano disposti alla piaggeria per carrierismo. l'amico luca è più da vaffanculo, se la cosa non gira com'è efficiente dovrebbe girare.

l'ho ascoltato per anni, raccontare gli aneddoti lavorativi. pensavo che avrei voluto avere la sua assertiva spigliatezza. il suo porsi sì, sì, no, no. per tutto un insieme di cose mi son scoperto di farlo nemmeno una diecina di anni fa. da quando sono là dentro. per accorgermi, tra l'altro, di esserne ben capace pur io. a volte pure pensando: non avrò esagerato in un tenere il punto di modo così assertivo? [che poi è lo zic appena prima di sfanculare qualcuno più in alto di te. che poi là dentro, lo sono tutti. più in altro di me. formalmente].

e da quando sto là dentro, come folgorazione immediata ed inevitabile, vorrei riprendermelo il tempo. come se lo è riconquistato l'amico luca. che siamo diversi in un sacco di cose. simili in altre. sicuramente con la stessa, strutturata ed irrinunciabile etica del lavoro. per questo rimase così colpito dal tino, de "la chiave a stella". per questo me lo consigliò così caldamente. per questo l'ho così amato anche io.

lui probabilmente ha amato il suo lavoro, ben più di come ami il mio. però lo si è fatto bene ugualmente. lui, per il momento, al passato. io ancora non so per quanto.

vorrei arrivarci anche io, a riprendermi tutto il mio tempo. per utilizzarlo in maniera - probabilmente - anche in modo diverso. come diversi siamo lui ed io. perché so che lui lo userà al meglio. e tutto tranne che per sprecarlo col cazzeggio più banale. non è affatto da amico luca.

quindi, intanto, che se lo apprezzi, momento dopo momento, il suo nuovo paradigma. e lo coccoli, il suo nuovo tempo riconquistato: troverà il modo, son certo, per scoprire nuovo ed altro senso, e le possibilità di nuovi modi di essere sé stesso e di divenire. un po' lo invidio, che è ben diverso dall'essere invidioso. sono lieto quando son liete le persone cui voglio bene. per questo sono davvero contento per lui. 

buon tempo e buon nuovo paradigma. saprai far fruttare cose sicuramente interessanti. 

 

(*) [poi vabbhé, ho stampato nella memoria dove, come, quando me lo comunicò, il suo sorriso ed il suo sguardo. peccato aver condiviso quel momento così importante, ancorché simbolico, con la presenza del grande abbaglio e del grande sbaglio. però le cose vengono. e se serve passano. e va bene ugualmente così.] 

Monday, September 29, 2025

banale

e quindi scrissi il post prima di questo. faticosamente. anche per quello che, emotivamente, comporta l'idea di qualcosa [che poi sarebbe un genocidio] che è attuato così in modo sistematico.

post faticoso. anche per il senso di frustrazione, di non poter far altro che non girare lo sguardo dall'altra parte. e quindi vederlo attuato, il genocidio [per quanto col culo al caldo ed al sicuro. non sono le nostre carni ad essere dilaniate. non sono i nostri affetti ad essere annientati, non sono i nostri luoghi ad essere polverizzati]. frustrazione che sentivo opprimente. roba che schiaccia a terra, e poi ricaccia giù.

il giorno dopo ascoltavo alcuni comici dibattere. che chiamarli comici il reazionario dice: so' buffoni, quel che dicono conta un cazzo. e invece la comicità è una forma d'arte sottile, anche nella sua scurrilità apparente. il nocciolo preziosissimo celato nel farsesco del buffone. dibattevano: su cosa si può fare battute e su cosa no. si può fare, tipo sulla palestina. tipo su gaza. tipo su il genocidio. e salvo di paola ha esclamato una cosa del tipo: sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia., ci coinvolge, e noi non possiamo fare niente, e questo è talmente frustrante che no. non ce la faccio - io - a far battute su gaza per smascherare la disumanità che si sta perpetrando. io non ce la faccio. se qualcuno riesce, farebbe benissimo a farle. io non riesco.

più che l'etica del comico - eccccerto che l'etica del comico esiste. e non è un ossimoro - si è spalancata innanzi la certezza di aver scritto un post - a tratti - banale.

sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia.

è il ci, la chiave di volta. pronome della prima persona plurale. 

chissà quale unicità credevo di raccontare in quel post. il senso di frustrazione e di inazione. come se stessi disvelando chissà quale pensiero originale, roba di acume fino.  [sì. sì. c'era anche altro, in quel post. c'è un limite anche al martellarsi i coglioni. però la parte della frustrazione, che vivevo, me tapino [sempre culo al caldo ed al sicuro, chiaro], ecco, quella no: banale].

no. ci. e non è tanto per la compagnia di salvo di paola. ma la naturalezza con cui ha ribadito la cosa quasi ovvia. spiegata bene ad uno un po' gnucco. ed è arrivata, sbeng, diretta e rapida: siamo in tanti. ed è inevitabile come il fatto domani sorgerà il sole.

sentivo la vocina dentro che mi diceva: toh, era così complicato arrivarci? tanto ingarbugliato l'arrovellarsi del pensiero del post ed il ruminarci per scriverlo, tanto lineare, dritta, inequivocabile l'uscita del salvo. se non ci fosse di mezzo un genocidio sarebbe una cosa banale.

toh. come quello che mi sa che ho scritto, in un post - a tratti - banale. 

stilettata al mio residuale amor proprio.

però anche la percezione di non essere solo. un po' meno originale, però un po' meno solo. che poi lo so di non esserlo. non fosse altro per le piazze piene in cui scendo con convinzione. è che però, in quel momento, grazie al salvo, l'ho capito anche per l'altro modo. capito davvero.

un colpo importante all'autoreferenzialità dello star nella buchetta e la fatica che ne consegue. per la buchetta, mica l'autorefernzialità. e quanto arrivano i colpi all'autoreferenzialità va sempre bene.

ci.

non sono solo. non sono così speciale nelle mia speciale disperanza.

c'è una cappa opprimente, la frustrazione dell'impotenza. siamo in tanti là sotto. poi, occhei, magari io sto dentro la buchetta, temporaneamente. ma continuiamo ad essere in tanti: importante saperlo.

in quel mal comune, non c'è mezzo gaudio, ci può essere tutto tranne che qualcosa che abbia a che fare con un gaudio. ma il senso di una condivisione. pezzi di umanità che non sono per forza soli.

ci.

[poi ovvio. sono psicopippe di uno col culo al sicuro e al caldo. come lo siamo tutte e tutti. però la cappa la sopportiamo assieme. e non distogliamo lo sguardo a chi, al caldo, ed al sicuro proprio non è.].

mi verrebbe quasi di volerlo ringraziare, il salvo di paola. 

Saturday, September 20, 2025

pària

questo è un post che penso da settimane. e che rimando. penso e rimando. come l'onda e la risacca del mare. anche quello davanti la coste di gaza. penso e rimando, come la sua declinazione orribile: fronte d'onda e rinculo delle tonnellate di esplosivo scaricate in lembo di terra martoriato e stuprato.

questo è un post che penso da settimane. ed ogni giorno a passare, ogni notizia ascoltata, letta, la sensazione fosse ormai tardi. e la sensazione da qualche parte di doverla scriverlo 'sto senso di impotenza. e di frustrazione. e di orrore inarrestato, che non smette di placarsi. la vendetta putrida del dio degli eserciti, per conto di umani - immanenti - che rinnegano l'umanità di pezzi di umanità.

questo è un post che penso da settimane ed è ritardo di mesi. se non anni. che se si vuol far zig-zag tra il controsenso logico-temporale: è un post in ritardo di ottant'anni.

dritto per dritto.

mi chiedo, penso da settimane, se non debba acclararsi, lucida ed amarissima, l'idea che israele, lo stato di israele, sia da considerare uno stato paria. come succede con la russia. come accadde con il sudafrica durante l'apartheid. [che fastidioso e insopportabile senso dei due pesi e due misure]. paria. fuori dal consesso delle nazioni democratiche. tirando su a bracciate tutto quello che significa democratica. fuori da un consesso per essere considerata non più tale, da tutte le nazioni democratiche, qualsiasi cosa significhi. te e noi non siamo la stessa cosa. che se ne acclari l'alterità. non siamo dei pari.

lo stato di israele. con tutta l'amarezza per i suoi cittadini democratici

e mica non lo so sia un convincimento che avanza dovendo stare ben attendo ai ciottoli insidiosi, mentre si incede su di un crinale strettissimo.

da una parte il paradosso. che questo post, che penso da settimane, sia considerato un post antisemita. che questo è un blogghettino che non caca nessuno. linkato al nulla. ma il paradosso è che potrebbe generare chissà quali conseguenze. specie nei tempi bui in cui ci stiamo infilando. [parentesi. se diventasse realtà l'idea idiota, totalmente idiota, di un vice primo ministro di istituire una legge che dichiari reato criticare israele, allora sarei tecnicamente nei guai. dice: ma il diritto di opinione è garantito dalla Costituzione. eh. questo ad un ministro che porta avanti idee così idiote, sai cosa gliene fotte. intanto si avvelenerebbero i pozzi]. il paradosso che potrebbe non essere così paradosso. lì fuori ormai sta tornando a valere un po' tutto. e la disonestà intellettuale come motore che scarbura roba puzzolentissima. ma intanto fa incedere cose.

dall'altra parte l'estrema fascinazione verso la cultura, la tradizione, la storia che i cittadini di quel paese incarnano. senza dimenticare che l'ottantapercento dei cittadini di israele è ebrea. il restante venti, arabi musulmani. e in quel versante del crinale il fatto "paghino" i cittadini, per le azioni del loro governo.

però, sempre da quel versante, sovrastato dal crinale, anche il senso di rabbia proprio perché democrazia si considera israele. e quindi quante persone approvano le scelte genocidiarie del loro governo? quanti altre persone, invece, provano il mio stesso disagio, che poi è il disagio di centinaia di milioni di persone. quante persone giuste sono necessarie per salvare quella nazione? [sì, mi arrogo l'idea di pensare di essere dalla parte giusta della Storia. anche se verranno anni, forse decenni, in cui vincerà l'idea sia esattamente il contrario]. salvarla dall'idea, forse dall'esigenza, di considerarlo uno stato paria.

quante persone abbracciare di quel paese, con quante cittadine e cittadini ribaltare l'idea, cui proprio non riesco ad iniziare a concepire. e che invece sembra essere essere assodata, inevitabile. pensare, credere, rivendicare l'idea che il popolo che ha subito per secoli - sino all'indicibile del secolo scorso - da vittima abbia il diritto di potersi fare carnefice. 

io lo so che a tutto il resto della popolazione mondiale manca un pezzo. io non posso sapere esattamente come e quanto ti segna l'eco che riverbera da venti secoli, in quei discendenti di abramo. lo so che a tutte il resto del mondo manca questo pezzo. un cuneo infilato nell'inconscio di tutti i discendenti della diaspora. il portato psichico di un popolo perseguitato ad ondate nella storia.

io lo so che ad una mia sorella o fratello israeliano, così come ebreo in giro per il mondo, che soffre - sì, soffre - tanto quanto me, e una moltitudine d'altri, la parola pogrom non potrà mai significare esattamente la stessa cosa.

però so che si può stare assieme dalla parte giusta della Storia. ed è per questo che lo stato di israele, a causa del suo governo criminale, debba essere considerato ora uno stato paria. e che sarà benedetto il giorno, se e quando arriverà, in cui questo non sarà più.

e si potrà elaborare il lutto, assieme, per l'umanità che si è calpestata, umiliata. cui si sta negando l'esistenza e il fatto sia umanità essa stessa.

chi causa un genocidio non può che essere considerato un paria.

lo voglio ribadire, come un qualcosa di insopprimibile. voglio distinguermi, mica solo io ovvio, e già da ora da tutti coloro che "un giorno, quando sarà sicuro, quando non ci sarà più alcuno svantaggio personale nel chiamare una cosa con il suo nome, quando sarà troppo tardi perché venga chiesto il conto a chiunque, tutti diranno di essere stati contro." [omar el akkad]

[e adesso che i rimestatori di cose buie e purulente, che pensavamo passate, mi diano pure dell'antisemita. io so che è esattamente il contrario. ed in fondo è un fastidio piccolissimo, rispetto alla sensazione di frustrata impotenza, che vivo da mesi tutti i giorni. per quanto sempre col culo al caldo. e anni luce dal dolore di quel pezzo di Umanità che viene genocidiata]

Sunday, July 27, 2025

appuntini

credo di essere nel bel mezzo di un momento depressorio. niente di che, neh? una buchetta. se ne verrà fuori.

gran grosso boccone, del pasto che sta consumando questo momento, credo sia il rinculo per quel tentativo di storiam deragliata in un mezzo amen. pensavo fosse arrivato il cambio di paradigma. ci ho creduto. talmente tanto che non ho intravisto i segnali. meglio: li ho intravisti, ma gli occhi a forma di cuore han fatto li ignorassi. e quindi un bell'investimento emotivo per qualcosa da costruire con una delle persone meno adatte. i segnali, appunto, c'erano, te non cacarli, e così succedono cose in un mezzo amen. e comunque prova te a ragionare con la chimica e le nevrosi quasi ossessive.

tant'è. dopo un po' è arrivato il rinculo. nemmeno il tempo di iniziare il chiodo-schiaccia-chiodo. o meglio, prodromi non esattamente scintillanti.

e dentro il rinculo, tiro su a strascico le nequizie che accadono. enormi ed epocali, come quelle più vicine. differenze di scale e di prossimità importanti. ma tutto si tira appresso, e il velo di malinconia sembra un fronte perturbatorio ampio e persistente. per quanto è serena malinconia. però lo strascico tira dentro tanta roba. e si fatica. e naturalmente non voglio tirar il fiato. e quindi, dice, che cazzo ti appunti cose, che tanto lo sai già come si rimane nella buchetta.

e vorrei tirar fuori tre appunti. veloci. anche se tanto si sa, tanto veloci non saranno. appunto.

venerdì ero in ufficio. ascoltavo la rassegna stampa mentre mi avviavo al dispenser per l'acqua microfiltrata. il piccolo rito mattutino è quello di riempire la borraccia, bersi il mics di accccuaCasssataENaturaleAgaggganelle, quindi riempirla di nuovo e tornarsene alla postazione. il buon mattia, alla radio, stava leggendo l'articolo su mohammed, bimbo di diciottomesi di gaza, notizia in principio riportata dal daily express. pelle color di vecchio, colonna vertebrale più che sporgente, pancia gonfia, viso inespressivo e occhi sbarrati. "Apre e chiude la bocca, cercando nell’aria il biberon che non ha. Non è un pianto quello che emette, è piuttosto un lamento rivolto alla coscienza del mondo che assiste inerte a tutto questo.". mi mancano - letteralmente - le forze. mi siedo su quella specie di seduta cool arancio-grigia. bevo dalla borraccia, da seduto. non riesco a farlo in piedi. ascolto e mi sommerge un senso di angoscia. un misto tra rabbia ed impotenza. un po' spero che l'articolo, la sua lettura, giunga a conclusione. come a smettere i cazzotti nel bel mezzo della panza. un po' vorrei non lasciar andare quell'immagine, quel simbolo. sono seduto e bevo, lentamente. nel frattempo sbucano dall'ascensore fieri dipendenti di là dentro. stanno andando alla loro postazione, convinti che anche oggi saranno fondamentali e determinanti a immaginare progetti nuovi per là dentro, o roba raffinata, per l'ordinario ed oltre, a garantir il funzionamento della baracca. non so se sono contenti, praud. se si sentono importanti e ben pronti ad alimentare parziali sovrastrutture, l'impiegato che va al lavoro nel posto fico e cool. con quella specie di sedute arancio-grigie vicino al dispenser dell'acqua microfiltrata. ti ci puoi sedere, mentre ti fai un goccio. tipo quello lì con le cuffiette nei padiglioni auricolari, con le spalle un po' curve. dalla postura del corpo non sembra in formissima. li guardo passare, mentre sto moderatamente di merda. chissà che cosa stanno pensando. chissà quali preoccupazioni. chissà quale contezza di certe nequizie. chissà quanto interesse. chissà quanto pensiero solo alla giornata lavorativa che va a cominciare.

cose così.

ieri sera spettacolo pirotecnico sul lago. mi interessa il giusto. ma almeno mi costringo ad uscire di casa e far due passi sul lungolago satollo di turisti e autoctoni. prima volta in questa stagione. passo davanti l'oratorio. è ancora una stilettata. come se lì dentro si fosse formato un ganglio di irrisolto. almeno per me. ci sono i manifesti dei campi-scuola. roba che mi tornano - ancora - alla mente le sensazione di condivisone fuori dal mondo ordinario, che si viveva in quei giorni. sui manifesti ci son foto, ed in quelle foto c'è il prete, ovvio. mi fa un effetto strano. potrebbero toglierli, penso. stamani lo condivido con matreme. la sua risposta è breve quanto significativa: eh, l'oratorio deve comunque andare avanti, ed ai ragazzi, ai bambini bisogna comunque pensare.

già. il tutto deve continuare. e se deve, può. è che son solito fermarmi nelle mie buchette. le cose devono proseguire. come durante il covidddddì, la gente ha continuato a sposarsi. per fortuna c'è il mondo fuori dalle mie buchette.

oggi ho camminato in mezzo al bosco. sembra faccia bene. probabilmente non è solo una questione che, in modalità sciamanica, ti rammentano come un'ovvietà pattuglie di gniugeisti, nelle più lisergiche declinazioni. potrebbe esserci qualcosa di provabile. tipo fitotrasmettitori e recettori, che le piante utilizzano per comunicare. non dissertazioni sui massimi sistemi. elementi funzionali alla loro sopravvivenza. e sembra che immergervisi faccia bene. confermo. sarà poi quel po' di sforzo fisico, la dopamina che si genera. sì. funziona. non è che esce dalla buchetta, neh? però meglio che starsene in panciolle a rimirarsela, la buchetta. camminando in mezzo al bosco ho attraversato terrazzamenti, quel che rimane. piani, artefatti, che si inseriscono nelle asperità del versante di mezza costa, naturale. sono le vestigia di quel che era lo sfruttamento di quei terreni. si coltivava, si viveva di quello. economia di sussistenza e poco più. e lì non c'era bosco. tutto sgombro, per sfruttare gli appezzamenti, pascere il bestiame. il bosco è tornato quando l'uomo da lì se n'è andato. qualcuno li osserva con una certa nostalgia: come sarebbe interessante tornare a quei versanti curati, che erano così capace di darti da sopravvivere. appunto. sopravvivere. sono in un momento depressorio, non soverchiato da nostalgie passatiste, luddismo allo stato di superplayer. per millemila ragioni. e poi il bosco è biomassa, tra l'altro da captazione di anidrite carbonica. e sono alberi che continueranno a cibarsene, per ridarci ossigeno. certo. molti muoiono, marciscono e magari te li trovi sbarrare il sentiero. ma è elemento organico che rientra nel circolo. humus che concimerà altri alberi. il bosco può inquietare, per alcuni archetipi che ci portiamo dentro. il bosco può rigenerare. che grandi chiacchierate devono farsi, gli alberi, con i loro fitotrasmettiri-recettori. e noi che ci passiamo in mezzo.

anche senza per forza uscire dalle buchette. però meglio che non farlo. 

Friday, July 11, 2025

abisso

la morte di don matteo mi ha colpito, molto. così tanto non lo credevo. però è successo. e non credo sia solo per il fatto che nella hometown tutto riverberi, troppo, come in una scatola di latta. credo anche si sia trattata di una sorta di immedesimazione*.

ho voluto esserci, ai funerali. mi sembrava un gesto scontato, naturale. al netto di matreme che ha chiesto, appena rincasato: dov'eri? al funerale. ma come, sei venuto anche tu?

ho voluto esserci, sì. vista poche altre volte la chiesa così piena. un silenzio, sospeso e compatto. di quelli che fanno un gran rumore.

volevo esserci, anche per ascoltare. per intuire come quella morte potesse riverberare, gli effetti farsi voce, racconto, partecipazione. senza dimenticare che non si fosse messo minimamente in dubbio il funerale religioso. non so quanto fosse misericordia, quanto dismettere il giudizio e la condanna, definitiva. roba di nemmeno troppi anni fa.

volevo esserci anche per capire, intuire, come l'hometown cominciasse ad elaborare il lutto. qualcosa di davvero fuori l'ordinario. troppo per una comunità sempre più infighettata, paciosa nello starsene in quel angolo di mondo, forse così isolato e al riparo dalle storture di quel che accade.

ha parlato il vescovo. han parlato preti. ha parlato una ragazza dell'oratorio. ha parlato il sindaco. e il gianmaria è quello che mi colpito più di tutti. gliel'ho scritto: grazie sindaco.

grazie perché  è stato l'unico che si è avvicinato al burrone. è l'unico che non ha nascosto il fatto c'è un abisso che si è preso quel giovane sacerdote. poco più che accennato, ma almeno non ha guardato solo da tutt'altra parte.

non è così paradossale. in fondo un sindaco dovrebbe parlare da laico. ed in fondo io ero lì da laico, tecnicamente non credente, per nulla certo di un qualcosa oltre questa vita. ed ero lì, cognitivamente con l'eco lontana, intuita, percepita, che quel gesto possa essere esattamente possibile. esattamente l'opposto di qualcosa che non si può spiegare. è nel novero delle cose che possono accadere. esattamente com'è accaduto.

lo sconcerto che ha travolto tutte e tutti accompagna la meraviglia sgomenta di un gesto che nessuno avrebbe mai immaginato. che quindi non si capisce come possa essere. è il modo per guardare solo dall'altra parte del burrone, come se l'abisso stesse sull'asse immaginario. lontano dalla paciosità lacustre. forse è autodifesa. forse è rimozione della complessità sconcertante dei recessi della mente. forse una fuga. forse la combinazione lineare delle cose. [forse lo stigma, oppure l'impreparazione, verso la malattia mentale. se ho il reflusso, ci sta. se sono depresso, non so come si possa accompagnare qualcuno con 'sta roba qui]

per questo penso sarebbe stato giusto, laicamente misericordioso, sincero, qualcuno lo dicesse. di fatto, però, nessuno l'ha fatto. non ho sentito dire: scusaci se non siamo stati capaci di accorgerci quanto dolore e quanta disperata solitudine. non cambia la sostanza di quello che è stato. ma poteva essere un modo per non sprecare proprio nulla, accorgerci che ci si può accorgere, perché è qualcosa di possibile tra le cose possibili.

hanno parlato prelati. e non potevano che concentrare tutto sul significato teleologico: il fine ultimo, l'insondabile della mente dell'uomo ben presente nella mente di dio. la promessa del rivedersi quando saranno i tempi nuovi, quelli della resurrezione. e la testimonianza di tutto quello di bello e positivo ha lasciato.

che [mi] siano mancate cose dette, inutile ribadirlo. però, per un attimo, ho provato un po' di invidia. perché qui, da queste parti, non rimane altro che lo sconcerto di quel gesto. e non c'è promessa di vita eterna che possa mitigare, qualsiasi cosa significhi. ce la si deve vedere qui ed ora, senza appigli trascendenti. noi con la sola immanenza che qui viviamo, e poi basta. confesso che, per un attimo, mi sarebbe piaciuto percepire quel refolo di speranza, che acclaravano come l'unico senso per dare un senso a tutto questo.

siamo soli, noi laici.

soli ma non disperanti, necessariamente. perché un senso ci può essere nella testimonianza. nell'eco di quel che giovane don ha saputo comunque trasmettere. e poco importa me abbia solo sentito parlare. se si è manifestata in un'intuizione e un'ingiustificata simpatia per un sacerdote, mentre spingeva un tosaerba su un campo di pallone. è molto immanente. me lo posso portare appresso anche io. anche se propagherà, chissà quando e come, in tutti altri ambiti. anche se magari succederà senza che abbia completa contezza. è un modo per rimettere in circolo. dare un senso a qualcosa di cui il senso, disperante, sfugge. è totalmente insensato solo se si fa finta che il burrone non esista. se ci si ostina a guardare sempre e solo dalla parte opposta dell'abisso.

un paio di considerazioni, ancora, prima di chiuderla qui.

tutte e tutti hanno ricordato la cordialità, l'entusiasmo, il sorriso ed una parola buona per chiunque. ad un certo punto ho intravisto una specie di piccolissima epifania. come se quell'apparire così convintamente pieno di vita fosse un modo per sfidare, per contrapposizione antipodale, il buio dell'abisso. cosa del tipo: quello che c'è in fondo al burrone mi agisce a voler smettere di vivere? ed io mi pongo in maniera esattamente opposta, con l'entusiasmo di vivere. qualcosa di drammaticamente faticoso, che alla fine, forse, lo ha trascinato dove è solo stanchezza per sempre.

*mi hanno colpito molto i ragazzi oratoriani, il loro dolore. mi ci sono immedesimato, anche se quel dolore io non l'ho vissuto [ora, né una cosa simile allora]. però mi son sentito vicino a loro. e non solo perché è capitato in quel luogo che frequentano. e che ho frequentato. il locale in cui l'hanno trovato è un posto in cui non metto piede da oltre trent'anni. ma è come se mi ricordassi, esattamente, com'è fatto. come ci fossi stato da pochissimo. come una specie di cortocircuito temporale. come rivedermi in quei posti che sono stati parte indelebile della mia educazione sentimentale. cui spesso riparavo, come a cercare una protezione quasi uterina. quei ragazzi sono io trentacinque-quarant'anni fa. come fossimo uniti da un luogo comune [fisico ed emozionale] che è stato [per me] e sarà [per loro] fondamentale. al netto delle mie apostasie e il nocumento che mi è cascato addosso in quegli anni ed in quei luoghi [allora non sapevo stesse accadendomi ed ero sicuramente un po' rincoglionito]. loro sono io. io sono loro. loro che invece hanno già saggiato quanto può essere lancinante e durissima la vita. che però hanno dalla loro l'entusiasmo incosciente - bellissimo - delle loro età. che sappiano trovarcelo, un senso. al netto dei discorsi trascendenti che si sono sentiti raccontare. la durezza di quel che le e gli ha colpiti, serva loro ad intuire che, appunto, i burroni esistono. chi lo sa se non potrà aiutarli a capire quando ci sarà qualcuno da afferrare e tenere per mano, per allontanarlo dall'abisso.

[e comunque, struggente, è stato vedere quasi una decina di giovani preti, provatissimi, portare a spalla ed accompagnare la bara. non mi era mai successo. dubito ri-succederà] 

Saturday, July 5, 2025

ruggine

l'algoritmo del signor feisbuch mi propone video di restauri di oggetti. oggetti con parti metalliche importanti. parti metalliche con tanta ruggine appresso. l'algoritmo del signor feisbuch ha capito come agganciarmi. e difatti li guardo come un dipendente da social engagement da social qualsiasi.

li guardo forse anche un po' rapito.

prima spatole per togliere il più grosso. poi le spazzole coi ciuffi di metallo, per i punti meno accessibili. e poi cascate di wd40, a cominciare a lubrificare viti, bulloni, tasselli [metallici]: è ora di compiere il percorso elicoidale di allentamento. lo percepisci il wd40 che si insinua spumeggiante negli interstizi più incrostati e comincia a sciogliere la ruggine che era tutt'uno con il resto. come ad annunciare: diamoci una mossa, è tempo di tempi nuovi.

poi c'è la sabbiatrice. subisco il fascino della sabbiatrice. che il metallo vivo torna alla luce, dà un'idea del luccicore che non ha mai smesso di avere, sotto la ruggine. sembra che gli oggetti si colorino, e invece è la ruggine che se ne va.

e poi la lima. i movimenti a volte sinuosi, tondi, quasi poco istintivi. è un mestiere e una manualità mica scontata anche questa. tirare di lima, si capisce il senso di una maestria che si impara.

e poi la cartavetra. grani diversi, per i vari passaggi. il lavoro che è ripetizione e affinamento. affinamento e ripetizione.

e poi - bellissimo - le nuove vestigia a tutti i pezzi. là dove si colora, a spray, a polvere, le parti più importanti. e le componenti zincate, temprate, lucidate.

per poi ricomporre il tutto. stessi pezzi di prima. niente più ruggine. un'apparente insieme scomposto di componenti, rimessi a nuova vita. si rimontano, si riavvita, si serra, si assembla. eccolo di nuovo pronto all'uso. luccicante, colorato, pronto per ricominciare ad avere un senso. come nuovo. anzi, meglio: con il valore aggiunto della cura e dell'essere messo di nuovo a nuovo.

ho capito perché li guardo rapito.

perché c'è dentro il senso di riaggiustare, del ripartire, del sistemare. che si riesca a fare non ostante le incrostazioni, la ruggine, l'accumularsi delle fatiche e delle corrosioni del tempo. e proprio dalla ruggine si riparte. si ricomincia. che non è la ruggine a far smettere la voglia di riprovarci. anzi. è forse la ruggine che, quando sta fuori, è il punto di partenza per ripartire. toglierla, la ruggine: da lì viene poi tutto.

penso e pensavo a come sarebbe bello farlo con le persone, con le relazioni, con quello che incrosta e non permette più di agire. qualsiasi cosa possa significare. anche se le persone, le relazioni non sono ovviamente oggetti. però il senso è quello: il ricominciare dopo il lavoro di cura per restaurare, che poi è tirar fuori di nuovo quello che comunque continuiamo ad essere.

lo pensavo, tra l'altro riferito anche a me. che va bene la malinconia, ma non ho di che di dovermi lamentare. anzi.

infatti oggi è tornato, prepotente, il monito che dolori e fatiche che soverchiano sono accanto alla vita di ciascuno. e che la ruggine, le incrostazioni possono starsene ben nascoste dentro, nel profondo. talmente nascoste e nel profondo che se guardi fuori sembra tutto così colorato, vivo, forse anche luccicante. e l'agire, essere strumento di qualcosa o di qualcuno, è connaturato al senso stesso dell'essere. esattamente l'opposto di qualcosa di solo imparentato con la ruggine.

e invece no. la ruggine può essere dentro, talmente in fondo [ma era poi così in fondo?] o talmente avvolgente che no, non ce la si fa più. e non si trova più la voglia di riprovarci. e che tu sia un prete, che ha conquistato in nemmeno due anni un paese parvenu, complicato e rompicazzo come l'hometown*, cambia in fondo poco. quando è la ruggine che non si può, che non si riesce a sabbiar via.

ho faticato, a tratti fatico, probabile faticherò. però questa sera mi è ben illuminata l'evidenza dei privilegi - di cui ho solo una parte - piccola - di merito. che lo smarrirsi del senso di riprovarci, che si spegne del tutto, è un'eco lontana. ma esattamente nell'ordine delle cose che possono essere. 

se esiste un dio, sia quello che lui testimoniava come sacerdote o un altro, se lo tenga abbracciato più forte che tanti altri. 

 

* figurarsi. un tardo pomeriggio, passavo accanto all'oratorio e vedo che con gran lena spinge il tosaerba nel campo di pallone. roba lunga, penso. provo un'ingiustificata simpatia per quel pretino, vederlo lì faticare da solo. roba a pelle. roba che non accade da qualche lustro, un desiderio di ri-mettermi in relazione con uno di loro, intendo. e penso che mi piacerebbe dargli una mano. senza un perché. o forse è per non lasciarlo solo a tagliare l'erba del campo di pallone. e penso che potrei dirgli che si farebbe molto prima con il trattorino che utilizzo a casa. potrebbe tagliare l'erba di tutto il campo standosene comodamente seduto. devo solo trovare il modo di farglielo sapere. fossi stato più attivo e meno procastinante glielo 'avrei potuto dire direttamente, quella sera. ti faccio vedere come funziona, poi te lo vieni a pigliare le volte che ti serve. certo, non so se tu possa viaggiarci su strada, il tragitto da casa all'oratorio e ritorno. ma in fondo, mica romperanno i coglioni a te, i vigili. no?

 


 

Tuesday, May 20, 2025

ventimaggio

il ventimaggio è una bella data.

un ventimaggio scoprii che il mondo era pieno di donne. mica solo quell'ossessione, nevrotica, che era nient'altro che un anelito. ma soprattutto una che mi perculò per anni. per quanto ci vuole anche uno che si faccia perculare, più o meno consciamente. un ventimaggio scoprii che no, altri occhioni [azzurri] potevano rapirmi. anche se gli occhi erano verdeazzurri, e fu rapimento breve. e che avrebbe poggiato sul pongo. però che bello fu quel ventimaggio. notte di coppe di campioni.

tutti i ventimaggio compie gli anni una persona che fu importante. grazie a lei capii cose, ne imparai di nuove. faceva benissimo l'amore. gli abbracci, dopo l'amore, mi tenevano lì, con lei. basta cadere nei recessi bui e poco piacevoli, quelli che avevano lasciato le protomolestie subìte [ahhh, i preti]. ventimaggio, il giorno giusto per il compleanno di una persona bella come lei.

il ventimaggio si sono sposati la mia amica monica ed il marco, aka il togna. forse il più bel matrimonio cui abbia mai partecipato [assieme a quello del mio amico emanuele e la sua sposa]. bello come quando qualcosa di bello ed importante si manifesta, con tutti i dettagli, precisi precisi, che si posano e vanno al loro posto. realizzando il senso profondo del concetto di autentico. zero stonature e sfrigolature. zero tradizioni da rispettare. zero ipocrisia da cattolici à la carte. una  promessa che si fa sacra, testimonianza davanti a dio, cui loro credono. nell'unico modo in cui credere. che bel matrimonio. 

a proposito di testimoni.l'amica monica con un testimone, uomo. il togna con una testimone, donna. poco scontato. ma sono l'amica monica ed il togna.

a proposito di testimoni, carina la testimone del togna. devo averla già vista. dove posso averla vista? ah, ecco, dove l'ho già vista. quegli occhioni vispi non era la prima volta mi colpivano. quanto meno mantengo una certa coerenza. la volta prima, forse, lei con una divisa da boyscout, incontro parrinaro, quando ancora credevo convinto, sei-sette anni indietro. ora così graziosa accanto al togna.

chiedo di lei. un'amica comune con l'amica monica si fa evasiva: tanto a me sono anni non dà più retta. fatti avanti, dai. sì, vabbhè, penso. figurarsi se mi viene di farlo, a me. 

durante il pranzo - che buono tra l'altro, il vino. tipo le nozze di canaa partendo dal fondo - pare ci sia un giuoco di sguardi. oftalmomachia avrebbe detto il nonnetto putativo. la osservo fugace, ogni tanto. forse anche lei guarda me.

dopo le prime portate pausa dalle libagioni nel giardino del ristorante. caldo gentile, sole che accende il verde e luccica sul lago lì accanto. tutte e tutti più rilassati. gli uomini con cravatte dal nodo allentato, primo bottone slacciato, le giacche leggera delle fanciulle lasciate sulle sedie assieme le borsette. con una certa casualità incrocio il togna, casualmente, ovvio. carina la tua testimone. lui nemmeno prova a perdersi in convenevoli, va dritto al punto: sta aspettando che tu vada da lei. 

non so se essere più lusingato o più incredulo. vuoi dire che ho fatto colpo? poi però mi ricordo che bisogna essere coerenti nella vita. incapace di farmi avanti. quindi non vado da lei, quindi lascio che mi aspetti. altro giuoco di sguardi. poi lei saluta e se ne va. il sole comincia a tramontare. siccome ci vuole coerenza mi sento un pirla, con la sensazione abbia perso l'occasione. provo a recuperare in modo goffo, come quando si afferra al volo qualcosa che vedevi già per terra, rotto, coi cocci da raccogliere. chiedo al togna: ma ci avrà mica una mail cui scriverle? il togna mi risponde senza esitazioni. però capisco che lo sguardo che pare chiedermi: ma tu, che potevi andare a parlarle, ti ha aspettato per tutto il pomeriggio, che poi decidi di scriverle ecco, tutto questo lo fai: perché non hai avuto il coraggio? perché sei un pirla? o c'è dell'altro?

la giornata ed il matrimonio stanno finendo. siamo a casa dei genitori dell'amica monica. il sole è ormai tramontato. le ultime emozioni da condividere. l'aria comincia a farsi fresca. l'amica monica indossa un golfino bianco, che bella sposa che è. si capisce sia stanca ma molto contenta. le dico della testimone, e che le scriverò, credo di trasmetterle una speranza che mi sento sgorgare dentro. non dimenticherò mai lo sguardo con gli occhioni verdi. il suo viso luminoso da sposa a disegnare un sorriso, che però sembra tendere all'amaro. ed il tono che vuole abbracciarti, ma non nasconde una perplessità: guarda che però è una persona un po' strana, stai attento.  

forse non sto attento, le scrivo. mi risponde. le scrivo. mi risponde. nessun accenno al fatto non mi sia fatto avanti, il ventimaggio. forse riesco ad essere anche brillante, scrivendole. sarà pure strana, però scrive in maniera interessante. sembra interessante. mi piace 'sta cosa. ci vediamo per una birra? occhei, andata. incredibile. un appuntamento che sembra venir fuori così, spontaneo e fiducioso.

ci vediamo. è proprio carina. un po' gli occhietti, un po' il sorriso, un po' la sensazione di un'intelligenza vivace. che bella serata. tutto sembra andare nel modo più rasserenante e piacevole. vuoi vedere che smetto di essere singol? quella sera non succede nulla. è che ci vuole un po' di tempo prima di dichiararsi, esplicitare, acconsentire con un . comunque è tutto bellissimo. forse un po' di farfalle nello stomaco.

continuiamo a scriverci. le scrivo. risponde. e poi arriva la sua domanda: che facciamo questo uichend? come il semplice evolvere delle cose, dovessimo vederci intendo, fare cose assieme. tipo quelle che mi propone, tra cui anche una cena, a casa sua - dove vive sola. invito degli amici, ci passiamo una serata assieme. andata.

quel sabato tardo pomeriggio piove, a tratti in modo intenso. dall'alto verbano a metà del cusio c'è un po' di strada. se mai un giorno dovessimo metterci assieme vorrà dire tanti viaggi come quelli, con un'auto che peraltro ancora non possiedo.

sono da lei presto, prima di tutti gli altri, non è arrivato ancora nessun. siamo soli. mi mostra casa. carina, piccola ma accogliente. della stanza da letto mi colpiscono due cose. un paio di sci appoggiati in un angolo, lì da qualche mese ed il letto, matrimoniale, davvero enorme. chissà se mai ci coricheremo assieme, su quel letto, e faremo cose che ora non saprei esattamente visualizzare. sembra tutto così in un futuro da definire, però chissà, magari succederà. giungono gli altri ospiti. ceniamo. compagnia piacevole, mi sento a mio agio, per quanto sempre con quel filo di timidezza. lei mi piace, è davvero carina, ogni tanto mi guarda e mi sorride. chiacchiere lievi e calorose. tutto va bene. e come corre il tempo quando ci si diverte. forse corre fin troppo in fretta. perché d'un tratto tutti gli altri annunciano: vabbhè, noi ce ne andiamo. penso: ma come. è già ora? non mi sembra così tardi. intanto tutte e tutti se ne vanno, così, d'improvviso. sembra quasi una cosa artefatta, oltre che inaspettata. tipo quando guardi la tivvvù e bluup, non c'è più luce, e ti chiedi: chi ha aperto l'interruttore generale?

mannaggia, penso, volevo starmene ancora per un po'. ora che se ne vanno tutti, dovrò andarmene anche io. mannaggia. si stava prospettando una bella serata in compagnia, perché farla finire così presto? che fretta c'era?

rimaniamo di nuovo soli. però mi piange il cuore. volevo rimanere, e ora tocca andarmene. i gesti si fanno un po' impacciati, io provo a procastinare. davvero, vorrei passare altro tempo con lei. ora siamo soli. forse non è opportuno, chissà cosa potrebbe pensare. gli amici se ne sono andati, la serata ormai è finita, molto prima di quanto mi aspettassi, peraltro. così, un po' sconsolato davanti ad un destino amarognolo, esclamo: vabbhè, me ne vado anche io a 'sto punto. lei mi guarda perplessa, non dice nulla. io non so se capisco che forse è meglio vada, anche se non ne ho proprio voglia. sarà il caso che nei prossimi giorni chiarisca la situazione, mi dichiari in qualche modo, palpitando poi in attesa di un suo , eddddai, sembra ben disposta anche lei, probabile non mi dirà di no. così ci mettiamo assieme. fidanzati forse è un po' troppo, almeno per i primi tempi. però almeno sapremo come far procedere le cose, magari in una serata come questa, dopo che gli amici se ne sono andati. sì, è il caso affronti la cosa nei prossimi giorni e cominci a tastare il terreno.

lento mi avvio verso la porta. mi sembro comunque troppo veloce, che vorrei rimanere lì l'ho già scritto, vero? apro l'uscio, non me ne vado subito. sono appena fuori casa sua, lei un passo dentro. voglio rubare ancora qualche istante da passare con lei. già, lei. se ne sta a braccia conserte, il viso appena reclinato. le è sparito il sorriso, gli occhietti meno vispi. sembra osservino qualcosa oltre me, trapassandomi lo sguardo. e insieme forse mi rimproverano. ho la vaga sensazione non sia felicissima, un po' come me, che vorrei tanto rimanere, mentre sono costretto ad andarmene. cazzo, gli amici non potevano fermarsi ancora un po'? ritualizzo, spostando un zic più in là il momento in cui la porta si chiuderà alle mie spalle, salirò in auto e ripartirò, destinazione alto verbano, e durante il viaggio penserò che sì, è il caso cominci a formalizzare la questione: ci mettiamo assieme? gliene devo chiedere, lo farò da qui a qualche giorno.

 

ho ripensato molte, molte volte a quei momento, a quello sguardo. me lo vedo anche qui, ora. ora che penso stesse chiedendosi: ma questo, esattamente dove e quando smette di essere un pirla, per cominciare a diventare definitivamente un coglione?

l'ineffabile verità è che, allora, non avrei saputo nemmeno da che parte cominciare. poi uno dice che la formazione sul campo è fondamentale. appunto.

quella sera finì tutto. di fatto non volle più vedermi. dal suo punto di vista, a smaccata ed ineluttabile ragione.

forse, per essere strana, era strana. io sicuramente ero ancora più codina della gaussiana [quella bassa]. così rimasi singol, allora. per quanto poi non è che sia mai diventato un grande cultore della materia. appunto. sarà anche per questo che combino dei grandi casini, oggi.

per questo è sempre un regalo che mi faccio, fare gli auguri il ventimaggio all'amica monica e a il togna. auguri di buon anniversario. è un po' come se li facessi a tutte e tutti coloro che ci sono riusciti e che resistono. 

ad altri capita invece di percorrere tragitti diversi, anche molto eccentrici  per finire altrove.

Saturday, April 19, 2025

pèsach

niente. la pasqua non passa. tecnicamente vivo un personalissimo pèsach. non dalla schiavitù in egitto alla terra promessa, declinazione veterotestamentaria. non dalla schiavitù del peccato a quella della redenzione per mezzo del sacrificio dell'agnello, declinazione neotestamentaria. tutta roba che ha un senso, neh? per quanto con un sacco di effetti, pragmatici, che impatta milioni, miliardi di persone. no. è roba molto più intima, privata. la pasqua però non passa, nemmeno dopo l'apostasia personale di fine millennio scorso.

anzi.

il problema era proprio la pasqua.

un paio di paragoni, un po' improvvidi, forse. o forse no. forse accostarli. forse. c'è di mezzo il sangue.

le donne, quando sono in cinta, i primi due-tre mesi possono avere piccole perdite mensili. il ricordo del corpo del ciclo mestruale.

sembra che le stimmate di padre pio da pietralcina, durante il venerdì prima di pasqua, sanguinassero in modo copioso.

sangue. quello che rendeva impure le donne. quello che era segno importante della santità del frate. poco importa sia ben lontano da pensarla così. la religio, qua e là, manda fuori di giri il buonsenso razionalista. oltre che avere una discreta fascinazione per il pulp.

anche per questo feci apostasia, al netto del pulp. il personalissimo pèsach.

però la pasqua non passava. come un grondare qualcosa proprio in quei giorni.

dalla sensazione di spaesamento di quando si scioglievano le campane a festa, al termine della veglia madre di tutte le veglie, cui non partecipavo più. quell'annuncio a distesa lo ascoltavo attutito nel soppalchino. solitudini passate a scriverci sopra, condividendo all'inizio con la sola queen, colei che mi disse: apriti un blog, e scrivici. 

la pasqua non passa non ostante le serene convinzioni costruite passo a passo. non ostante mi senta lontanissimo dalle sovrastrutture e le ritualità automatizzate. "il rifiuto delle vuote ripetizioni. la religione come gerarchia"*. aver fatto pace e liberato da "Da inferni e paradisi, da una vita futura/Da utopie per lenire questa morte sicura"**. dal fatto sia necessario un dio trascendente per dare un senso a questo immanente disperante. così, tra l'altro capire, che non sono di sinistra perché ero cattolico, convinto, praticante, illuminato dalla dottrina sociale della chiesa. bensì sono stato cattolico, illuminato dalla dottrina sociale della chiesa, perché sono [ontologicamente] di sinistra.

non di sinistra perché cattolico. ma [stato] cattolico perché di sinistra. ecco il chiasmo che mi ha chiarito cose.

però la pasqua non passa.

non so se l'eco solo dell'educazione sentimentale della pre e adolescenza. quando tutto sembrava possibile. anche l'idea di salvare il mondo. non basta l'azione convinta del giovane convinto, che sceglieva la pasqua, lasciava ai più il natale soffocato dal consumismo. anzi. penso non sia solo questo. c'è qualcosa di più profondo. lo percepisco senza saperlo. i riverberi vengono da più lontano. forse solo alla cultura secolare, che ci è attaccata? o bisogna andare ancora più indietro? ad un qualcosa di ancestrale, di archetipo? ad un cassa armonica che abbiamo dentro dove risuona il nostro essere spirituali? il soffio, il respiro, il πνεῦμα (pneuma) che da fiato alla scintilla divina? posto sia necessario mettercelo l'aggettivo divino?

la pasqua non passa. e va benissimo così. ha tutto un suo senso. specie nei momenti di quiete come questo. le campane ormai si sono sciolte a distesa. è resurrezione per i cattolici. è comunque pèsach per me. oltre il sabato dell'indifferenza, quello tra il venerdì della passione ed la domenica della resurrezione. qualsiasi cosa laicamente significhino.

le domande lasciamole lì. a posto così. ci sarà da qualche parte un oltre, forse. può lenire la certezza disperante. ci può convivere assieme, mi sembra un contributo interessante. un oltre che mica deve per forza essere trascendente. magari, questo sì, trascenderci: nel senso di non confinato in ciascheduno. ognuno neuroncino di una intelligenza, collettiva. o qualcosa che le assomiglia. o le va oltre.

buona [la] pasqua che non passa. 

[ora ho una gran voglia di fare l'amore.]

 

* un paio di suggestioni, tra le meno significative, di un'interessantissima uotsappata con la mia amica letizia, aka mirtillogirl. difatti, nella rubrica, lei è mirtillo. rara intelligenza, la laeta, quanto importanti i suoi pungoli.

** un paio di versi di "libera nos domine". che quando ero un convinto praticante solo bianco nero mi mandò in crisi. e smisi di ascoltare il guccio per qualche tempo. che simpaticissimo pirla ero.

Friday, April 18, 2025

agnelli

agnelli, nel senso di sacrificali. che poi basta spostare un accento. piano: sacrificàli. oppure bisdrucciolo: sacrìficali. o forse no. è lo stesso. agnelli sacrificàli come l'agnello che si dona ai suoi aguzzini. però vale anche l'altro. agnelli, sacrìficali. un'esortazione. che tanto ci pensa lo scorrere delle notizie, sempre non le si ignori. sempre trovino ospitalità nell'elenco di quelle che ci danno.

sacrificàli, che fa molto venerdì santo. sacrìficali che fa molto gente spazzata via. le zone son ben più o meno quelle. sante, per alcuni. che di santo non hanno un beato cazzo. per molti altri. figurarsi per chi quella terra è tutta una distesa buche, macerie, distruzione, devastazione. e dolore. e fame e sete. chissà se e come l'ha voluto il dio che tirano in mezzo. dei dii che si sentiranno strattonati. posto che un dio possa sentirsi così. anche in quel caso, il dio o i dii, tutto piuttosto collegato. solo questioni di tempi e di interpretazioni. e di libri che si vogliono sacri. declinazioni diverse. una discreta fascinazione per il sacrificio. l'agnello funziona bene. così inerme, così placido, così plasticamente adatto al sacrificio. non c'è bisogno nemmeno di accanirsi. si toglierebbe centralità al sacrificio.

decine di migliaia di sacrificàti. cinquanta, sessanta, forse il doppio. tutto con la placida indifferenza dei quasi tutti. non è nemmeno perché siamo solo cinici, e guardiamo dall'altra parte. tipo quando si sacrifica l'agnello. tipo come se i mattatoi fossero fatti di vetrate, quanti vegetariani in più. 

agnelli sacrificàli, che coinvolgono come si ascoltano i riti pasquali del venerdì. quello dove l'agnello si consegna ai suoi aguzzini. grande dolore e tormento per il figlio dell'uomo. la leggono, ci passa oltre. oppure l'agnello del sacrificio la notte di pèsach. con il cui sangue segnare l'architrave, così l'angelo della morte non entrerà in quella casa. una delle letture presente nella madre di tutte le veglie, domani sera.

stesso coinvolgimento.

mentre a migliaia vengono spazzati via. ormai talmente tanti che ci si è corazzati, emotivamente. per non farci coinvolgere. e quindi sacrìficali. come se ormai non fosse altro cosa che capita. come la lettura della passione, ad ogni triduo pasquale.

in quel fazzoletto martoriato è venerdì di passione ogni attimo. chissà quale dio approverebbe tutto questo. posto esista un dio, al netto possa essere così stronzo.

per alcuni riservisti dell'esercito e dell'aviazione della stella di davide ormai è troppo. si stanno rifiutando. obiettano. non vogliono più essere loro il braccio del sacrificio. ricorda il soldato del girotondo del faber. "ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà". 

salverà, rifiuterà. tutto al tempo futuro. mica adesso. già.

e chissà quanto servirà. per esserci abbastanza soldati che non vogliono più il sacrificio. per averne abbastanza di agnelli sacrificàli, per obbligarci ad obbligarli a dire basta. 

quanto tempo occorrerà? 

finiranno prima i soldati che vorranno adoperarlo, il sacrificio?

finirà prima la corazza della nostra indifferenza, al sacrificio? 

oppure finiranno prima gli agnelli, per il sacrificio? 

e sarà questo il senso de: tutto è compiuto? [peraltro così lontano da quello del venerdì santo. ma d'altro canto qui non c'è resurrezione. non vale la terza trova di dio è morto.]

Sunday, April 6, 2025

inadeguatezze

cazzo.

che rientro.

due mesi abbondanti fuori di qui.

relativa speranza et fiducia.

va là, che forse vengono pure certe cose anche a me.

i tempi che si allineano.

le coincidenze che convergono.

le presenze che si fanno catalizzatori.

le creature che infondono coraggio - gimmmmiiifaaivvv, blonde cupid.

e poi cose mai fatte prima.

coricamenti non più soli.

e poi questa leggerezza e cose un po' dopaminiche che scorrono.

financo tratti di felicità [cazzo, fatemeli godere questi mesi. che poi può essere passi l'effetto dopaminico].

anni, probabilmente, che non mi sentivo così.

bellissimo.

poi.

zac.

i nessi temporali che si scambiano per causali.

e tutto sembra roteare, trottola impazzita, proprio dove non ci si aspettava.

occccazzzzo.

cazzo.

cazzo.

cazzo.

no.

quindi, prorompente come un lanciatore vega che spinge da sotto il culo, eccolo.

il senso di inadeguatezza.

non sono fatto per stare in una relazione, compiuta, propriamente detta.

non è roba per me.

a gazzigLioni di persone riesce. bene. male. ottimamente. arrancando faticosamente.

ma riesce.

a me no.

che si fottano i coach che dicono: occcccchio, che se usano questa scusa, fuggite.

[andatene affffffanculo coach della mia minchia.]

no. no. inadeguatezza.

faccio casini. che divori energie per provare a fare esattamente l'opposto pare non contare. granché.

non è self sabotage.

devo averci una qualche vita senza fine montata al contrario, nel kernel.

inadeguatezza.

provoco turbamento, incazzo, voci a tratti strozzate. vorrei esattamente il contrario.

sto di merda.

nemmeno più voglia di scopare.

cazzo.

che rientro [blogghico].

le ingiustizie epocali del mondo, cazzo le scrivo a fare? ci sono gazziGlioni di genti che lo fanno meglio di me.

le facetosità del vivere, mica mi viene di scriverle. me le faceto.

cazzo.

che rientro [nella realtà solita et immutabile singol].

che uichend del cazzo.

non mi voglio infilare nella vita di nessuna.

figurarsi.

che poi, se lo faccio, va tutto a troie*.

inadeguatezza. 


[*con immenso rispetto per le ragazze che sono costrette a mercimoniare il proprio corpo. meritano più considerazioni loro. c'entra niente i libri].

 

Monday, January 27, 2025

memoria

no. non è cambiato nulla rispetto lo scorso anno. e quello prima ancora, con quello precedemte. e così via, andando indietro a quando il senso del giorno della Memoria mi si è installato dentro.

certo. è più articolato da quando sono stato laggiù. che a vedere alcune cose, per quanto note, l'arroganza e la violenza di israele nei territori occupati. elemento disturbante che può rischiare di distrarre. e portare fuori strada. terra per nulla santa. palestina strozzata da israele.

certo. è più lancinante dopo il setteottobre, ed il pogrom disumano, con la risposta del governo di israele: spropositata, criminale, vergognosa, con azioni genocidiarie.

quest'anno poi vi è lo iato, lo sfilarsi, la polemica delle comunità ebraiche italiane. il via l'ha dato quella di milano. quella che si riferisce alla cisgiordania come giudea e samaria [credits michele serra]. quella il cui presidente è così amico del presidente del senato, che è lo stesso che teneva [e forse terrebbe ancora] i busti del duce sul mobile, fiero. che ti chiedi cosa non torni. con le consecutio che si sono ribaltate, intorcigliate, generando un nodo a strozzo. da lì per principi di coerenza non si passa.

le comunità ebraiche contro anpi troppo politicizzata, che ha osato l'inosabile: usare il termine genocidio. e quindi, per diretta conseguenza anpi antisemita. non è un mondo al contrario. è una realtà capovolta.

confesso che il tirarsi fuori delle comunità ebraiche, al primo rintocco emotivo, mi ha turbato.

dopodiché ho pensato che non serve. e che dalla dinamica dicotomica, respingente, ci si può sottrarre.

perché la Memoria trascende anche dai vertici delle comunità ebraiche italiane. il giorno della Memoria è più importante delle prese di posizione così simili a quelle di un governo fascio-religioso come quello di israele. certo che le comunità ebraiche sono importantissime. ma non sono indispensabili. è più importante la Memoria.

perché il giorno della Memoria è un inchino ed un monito. 

un inchino a tutte e tutti coloro attraversarono quell'indicibile. ebrei, rom e sinti, omosessuali, portatori d'handicap, dissidenti politici. tutte e tutti. è l'inchino, che l'Umanità, tutte e tutti, si deve fare verso coloro cui l'umanità è stata annullata. scientemente, sistematicamente, programmaticamente. per questo è indicibile, ed il termine genocidio è l'ancora semantica per tutto questo. ma forse è financo riduttivo. servirebbe qualcosa per nominare esattamente quel indicibile. e chi ha attraversato l'indicibile è qualcosa di diverso, è umanità che ha diritto ad un posto di rilevanza nella storia, dove nessun altro può stare. e quel diritto trascende le azioni, anche le più aberranti, dei loro discendenti. e non solo per un'evidente causalità, che va solo in una direzione. anche quella in cui i discendenti compiono azioni terribili e disumane. da avversare, criticare, stigmatizzare, condannare per il fatto siano azioni disumane, non perché a farle siano degli ebrei. il fatto siano i discendenti della parte fondamentale di quel pezzo di umanità rende tutto più lancinante. ma quella parte fondamentale di quell'umanità rimane tale. [a volte sembra ridicolo ribadire l'ovvio].

[ecco perché l'accusa di antisemitismo non ha proprio ragione d'essere.]

un monito a tutte e tutti noi. perché se l'abbiamo fatto una volta, è perché siamo in grado di pensarlo, pianificarlo, realizzarlo. e se è nelle nostre corde, per quanto più aberranti e ignominiose possiamo farlo ancora. per questo dobbiamo vigilare e ricordarcelo, farne Memoria. ci portiamo dentro quel lato oscuro. saperlo, averne contezza fino giù nel profondo, è il primo passo, fondamentale, per provare a far sì non accada di nuovo. senza nasconderci nel comodo, autoassolutorio: io non non agirei mai per l'indicibile. troppo facile così, neh? l'indicibile è stato possibile grazie all'indifferenza dei più. non solo chi obbediva a degli ordini. anche a causa di coloro che girarono la testa dall'altra parte. il monito alla paciosa pancia della gaussiana di noi altri. tutte brave persone, così facili a scivolar nel meandro oscuro di chi non ha voluto guardare. indifferente.

non è un caso che indifferenza è la parola che Liliana Segre ha voluto risuonasse assordante all'ingresso del memoriale della shoah.

il giorno della Memoria mi si è installato dentro. per questo non sono antisemita. per questo mi inchino a quella parte di umanità che ha attraversato l'indicibile. per questo non mi adeguerò, mai, all'indifferenza. lo so.




Monday, January 20, 2025

cambiamenti

forse la ricordo male. ma la storia che da grandi cambiamenti possono scaturire grandi opportunità mi convince fino ad un certo punto. deve averla detta qualche orientale. d'altro canto con loro si va a braccetto, ma non del tutto. che essere fatti le une per gli altri è altra cosa.

ci siamo trovati meglio in quello che chiamano occidente. è tutto relativo, ovvio. c'è sempre qualcosa più a occidente di qualcos'altro. è per capirci. 

meglio non vuole dire tuttottimo, neh? però, in un modo o nell'altro nasco lì, già in nuce in quella filosofia nata sui bricchi petrosi che si buttano direttamente nell'egeo. 

qualche secolo dopo poi mi hanno teorizzato, nella versione di come son venuta fuori ora. grandissima intuizione, grandissima idea, volevano alto, allora. c'erano re che si pensavano per volere di dio, sotto di loro i sudditi. pensa un po' l'idea di pari, che son cittadini. mica tutti, ovvio. ma era un gran bel cambio di paradigma. ovvio, quindi, il gran trambusto. roba del tipo: dove andremo a finire, se continua così, signora mia. figurarsi delle parole che dicevano: gli uomini son tutti uguali [questa mi pare la canti qualcuno].

sono la democrazia. quella che, appunto, gli uomini sono [quasi] tutti uguali. roba che il potere appartiene ad una piccola frazione di popolo. poi un po' di più. poi tutte e tutti, o almeno quasi. roba che ci siamo arrivati per approssimazioni successive. anche se approssimazioni successive non rende l'idea del buco nero di due guerre mondiali, l'indicibile della shoah, i fascismi che hanno inventato e che sputavano addosso a me.

la democrazia. quella dello stato di diritto. della separazione dei poteri, che uno li riassuma tutti non va affatto bene. l'intuizione degli uomini davvero liberi che non ci sono poteri buoni [anche questa mi pare di averla sentita cantare]. quindi Costituzioni che vanno a limitarli, i poteri. una controreazione salvifica, che garantisce l'equilibrio del sistema complesso.

sono diventata grande da queste parti. un po' di qua e un po' di là di quella pozza d'acqua chiamata oceano atlantico. i primi a mettermi in pratica sono quelli di là, al suo occidente. negli ultimi decenni si sono pure spacciati come i miei difensori. 'sti mendaci. avevano già perso la verginità sulla mayflower, [questa invece mi pare di averla letta]. vediamo se non fanno venire giù tutto, da oggi.

hanno provato a teorizzarmi sempre meglio. e devo dire ci sono riusciti anche più che benino. è poi la sintesi, al solito, il problema. tanto che qualcosa deve essere andato non secondo i piani. o forse secondo i piani di altri. anche se dubito l'abbiamo davvero pensato in quei modi. [già mi pare di sentirli, alcuni: non ce lo dicono, ci nascondono cose. è il bello di lasciar esprimere opinioni anche lisergiche]. non credo l'abbiamo progettata. hanno semplicemente lasciato andare gli istinti predatori e di avidità. ce li portiamo dentro. statisticamente a qualcuno viene fuori. son sempre di meno. son sempre più accumulatori compulsivi. forse è un caso che sia accaduto prevalentemente con i maschi. non so se è una questione di testosterone che è dannoso abbastanza spesso. oppure le donne non ne hanno avuto [ancora] la possibilità.

ora mi sembra si vada in testacoda. mi danno per roba vecchia, stanca. è che sono faticosa da rinverdire giorno per giorno ed ho bisogno del pronome noi, del concetto di comunità. qui ci abituano a farne sempre meno, di fatica, e conta solo l'io, atomizzati. forse vogliono far cambiare del tutto idea su di me. col il paradosso - solo apparente - lo si fa con il voto [la sovranità appartiene al popolo]. hanno messo al comando il gran filibustiere. qualcosa deve essere andato storto. e cosa riverbererà da là, per tutto il di qua, è il grande quesito. o la sottile paura.

io non so come ne uscirò. può essere che finirò consunta. e ci faranno credere che è molto meglio così. non a tutte e tutti, ma almeno ad abbastanza persone. può essere che ne uscirò con i morelli e bozzi. credo proprio tutto non sarà più come prima.

forse soccomberò. forse dovrò mutare con una velocità mai vista, a garantire l'evoluzione. un darwin sociale e politico con il warp. forse sta per finire più o meno tutto, quel che verrà bisognerà chiamarla in altro modo. forse dimostrerò di essere stata un'intuizione formidabile. e andremo comunque avanti,

anzi. ne sono convinta. bisognerà solo capire quanto tempo ci vorrà per tornare a rivedere le stelle [si, questa mi pare di averla letta da qualche parte], e se e quanto dolore, lutti, tregende saranno necessarie. speriamo nessuna. forse sarà durissima. 

di certo bisognerà tenere botta. e mai più figura retorica è azzeccata. perché saranno scossoni belli riverberanti. forse esagero. vorrei tanto fosse così. forse dimostrerete di avermi fatto propria più di quel che possa pensare, ottimisticamente. non so. quello che verrà starà là nel mezzo, dimensione frattale.

non resta che tenersi pronti.

allacciamo le cinture. da oggi si ballerà, ma non il gesto gradevole orizzontale di un desiderio verticale [anche questa l'ho già sentita da qualcuno].

diciamoci in bocca al lupo [viva il lupo]. se abbiamo tutte e tutti bisogno.