Sunday, April 19, 2020

considerazioni non assembrate /15: cosa è casa [volevo far un post breve, è che dieci anni son tanti]

[premessa. forse è un po' retorico. sicuramente è sbrodolato. ma va bene così, ugualmente. c'è di mezzo la casa]
ho intuito, nel mio piccolo, che il trasloco sia la terza fonte di traumi, per importanza.
son passato in mezzo ad un lutto [facendomi partecipe non solo del mio].
le mie storie para-sentimentali son sempre finite prima ancora di cominciare.
ed ho percepito quanto lancinante sia cambiare casa. non importa quanto lo desiderassi, non importa quante e quali speranze vi riponessi. spostarsi è stato faticosissimo, nelle settimane precedenti vedevo di fronte qualcosa di molto fosco, foschissimo. quando era tutto pronto e già pagavo il fitto, ho comunque impiegato giorni prima di decidermi e passare la prima notte qui dentro.
esattamente dieci anni fa, come oggi.
era stata la mia ecs socia, qualche mese prima, a buttarmi lì la suggestione: secondo me è ora che tu ti decida ad andare a vivere da solo. in quei giorni ce l'avevo con lei, anche se non osavo ammettermelo. soffrivo uno dei primi momenti di frustrazione lavorativa e non solo, che si sarebbero poi disseminati copiosi da lì a qualche tempo. ma quelli erano ancora i giorni in cui davo per assodato che qualcuno dovesse darmi alcuni tipi di la, segnatamente lei. e così fu anche quella suggestione. mi si accese la considerazione dell'inevitabile. roba del tipo: sì, s'ha da fare. non ostante le paure e le titubanze: e quando sarò malato? e riuscirò a starmene del tutto solo? potrò permettermi l'affitto?
a dirla tutta, perché bisogna essere onesti intellettivamente, furono proprio gli ecs soci a darmi un grande aiuto, pragmatico, per concretizzare il tutto. intravvidero loro la peculiarità di questo appartamentino. sono loro che la azzeccarono con: è questa. in quel momento ebbero ragione, compatibilmente. e così divenne la mia casa.
in un pomeriggio del principiare della primavera di dieci anni fa, dopo che mi ebbero consegnato i primi mobili, feci due passi qui attorno. dovevo pur far conoscenza con la zona dove sarei venuto ad abitare. il caldo gentile, la luce che si spargeva. via sardegna mi sembrò bellissima, il cono al cioccolato fondente double della gelateria sotto casa un piccolo orgasmo sensorial-gustativo. ed io mi sentii felice di tornarmene a milano, mica quel succedaneo della stalingrado d'italia. come non confrontare, impietosamente, quel viale alberato nobile che avrei visto ogni volta uscito di casa, con la direttrice milano-monza, rumorosa, con il capolinea della rossa a poca distanza, che passava sotto il balcone nella casa di sesto. in quell'appartamento in cui non osai invitare nessuno per otto anni, se non una persona - che travolse le mie titubanze, con le sue tempeste bellissimamente impetuose - [poi sì, ci dormì una notte anche matreme, con estremo imbarazzo da parte mia].
no. qui sarebbe stato diverso. sarebbe stato un nuovo inizio. quel pomeriggio di inizio primavera, mentre attendevo i primi mobili leggevo "sei pezzi da mille". e pensavo che lì dentro avrei scritto cose memorabili e che mi avrebbero permesso di cambiare vita. pensavo a chissà quali persone ci avrei amato. alle persone con cui avrei condiviso il desco. al bellissimo piano di marmo della cucina che mi avevano consigliato. a come l'avrei arredata nel dettaglio, a come sarebbe diventata casa mia, la mia home, a tutta la vita che sarebbe passata lì dentro, in mezzo a quelle pareti che avevo voluto arancioni. alla bellissima festa inaugurale avrei fatto non appena il caldo avrebbe permesso di starcene la sera con le finestre aperte. a tutte le cose bellissime sarebbero successe.
si può continuare ad aver appiccicati dei brandelli di visione infantile della realtà, pure a quell'età come dieci anni fa. e pensare che appunto resistano pervicaci brandelli di realtà in cui sia così magnificamente separato ciò che è buono da ciò che non lo è. e che iniziare ad abitare qui avrebbe significato solo cose buone. in maniera apotropaica.
ovvio non poteva andare esattamente così.
senza dover tirar in ballo per forza la sfiga, cosa in cui non creda, come ben si sa. forse mi è semplicemente girata in maniera non così buona. solo una questione di caso meno favorevole. o forse solo nodi che son venuti al pettine, in maniera piuttosto inevitabile: solo questione di tempo.
con tutta una serie di contraddizioni, peraltro.
dovevo ancora finire di montare alcune cose e dal mio punto di vista finì l'aziendina, per quel che fu la mia personalissime e lancinante percezione. capii come la mia ecs socia intendesse la cosa preziosa che consideravo fosse la nostra amicizia. fu un piccolo punto angoloso. con tutto quello che ne seguì.
[poi vabbhé, ci furono altre cose sparse qua e là, tipo:
  • proprio in quei giorni scoprii di avere finito i soldi, di fatto. per quanto in affitto, metter su casa - vuota - non venne via gratis, ed erano due-tre anni che non si guadagnava già quasi nulla. non restava che sperare che l'aziendina ingranasse. appunto;
  • qualche giorno dopo una vecchia [vecchissima] amicizia mi si offrì, senza chiedessi nulla. visto che mi si offriva provai a cogliere, per quanto fossi ben poco convinto. ma avevo una casa tutta mia, poco da perdere, e fui sincero da subito. quindi non ostante qualcosa che non era esattamente un rapimento di sensi, baci mai così avvolgenti, capezzoli mai così belli, una tensione erotica tanto occlusa [in lei, soprattutto] quanto stimolante e torbida nel suo non riuscire a spalancarsi. e così fu l'esplosione repentina e turbinante di nodi irrisolti suoi, avviluppati, soffocanti carichi di rabbia. smisi di cogliere. ne rimasi scottato, anche per tutto il livore che mi scaricò addosso;
  • nell'estate che ne seguì lavorai ossessivamente e frustratatamente [grazie 'michi Liude et Luca di avermi accudito];
  • la mia salute dentro rischiò, considerato tutti quegli eventi, a partire dalla ecs socia. fu il mio ecs socio a propormi di farmi dare un mano. e quindi venne odg, che uscì grazie ad un suo contatto. odg, con il suo studio qui accanto. un caso, probabile. un segno, se uno ci vuole credere, per quanto in senso molto lato;
  • nel giro di pochi  mesi si ruppe un pluviale, sminchiando parte della nuova tinteggiatura, e lavori che inzaccherarono non poco. entrarono i ladri in un pomeriggio di ottobre.
insomma mesi iniziali non proprio facilissimi].
quindi può essere una banale coincidenza. o forse una specie di sintesi metonimica di quello che poi è stato negli anni successivi. che non c'entra la casa in cui si abita. o forse solo in parte. o forse nella casa ci si vi riflette quello che uno è, e quello che il principio di realtà fa scorrere copioso giorno dopo giorno. la casa è quel che sei tu, e magari un po' ti condiziona perché ci si trovi specchio riflesso dentro. tutto un giro così.
tipo il fatto abbia impiegato anni a rimandare di far cose. e poi d'un tratto mi sono adoperato per porvi rimedio. che spesso rassettare, riordinare, pulire è stato mettere in atto la possibilità di gestire il proprio spazio, e quindi aver la possibilità di gestire la prossemica dentro. appartamento piccolo, ma con un sacco di dettagli di cose incomplete, non del tutto realizzate, vuote fino a sembrare quasi spoglie. o forse di pezzi mancanti. tipo lo iato tra quel che riesco ad arrivarci [riesco nella sua più ampia polisemicità] e quello che posso comunque immaginare e credere possa essere. manca quel dettaglio che - mediamente - è il dono che solo le donne nelle loro intuzioni sanno donare, e che manca a me.
insomma, è la proiezione di quel che è il mio divenire da lustri.
poi, al solito, è tutto un alternarsi di cose che andavano e venivano. come le persone che son passate da qui. poche, a dirla tutta, ma importanti e significative [come la sintesi metoniminica e l'ampia polisemicità], che continuano non ostante tutto. comunque sempre poche. a cominciare dal fatto la festa iniziale d'inaugurazione non sia mai stata fatta. un po' che è piccola. un po' ho acuminato quella specie nevrosi per selezionare chi far entrare e chi lasciare fuori. e in quarantacinquemetriquadri la cosa viene anche abbastanza bene.
a volte l'ho anche sognata la mia casa. questa. anche avesse crepe importanti. o spazi di un umidiccio fastidioso. ho sognato molto più spesso che non questa fosse la casa. specie quando ci sognavo contestualmente di non viverci solo, come una specie di ossessione faticosa anche da sognare. un peso.

poi, da svegli, ci sono anche le cose che poi capitano. fottendosene da quello che avevi in mente di fare.
tipo che avevo pensato di andarmene da questa casa. un po' per evolvere. un po' perché ci sarebbero le condizioni. un po' perché sarebbe venuto il momento. avrebbe significato scegliere milano, in maniera financo più significativa e coinvolgente, quanto meno dal punto di vista materiale.
certo non sarebbe stato semplice ed immediato. con l'eco di quella titubanza che non mi ha mica abbandonato, anzi. con il districarsi tra la tensione del voler rimanere qui, in questa zona, che pensavo avrei faticato a lasciare [un po' è bella, comoda, invitante. un po' uno si sclerotizza]. ma che probabilmente non posso permettermi. quindi nel centro nodale del compromesso di: meglio casa piccola in zona desiderata, o casa più spaziosa in zona meno desiderata [almeno or ora]?
i prodromi del progetto e le domande conseguenti erano un po' queste.
e poi sono arrivati questi tempi nuovi, sconosciuti.
quelli in cui la tentazione, l'idea, la suggestione di rimettere in discussione tanto, se non abbastanza tutto, non mi manca. anche il fatto mollare questo genere di attività, che proprio non fanno per me. e di lasciare milano, così infettata. che tutta d'un tratto mi fa anche quel po' di paura.
quei tempi che, tra le millemiGlioni di conseguenze, mi hanno rinchiuso qui dentro, con balconcino dove sta giusto la poltrona poäng. poi - non dimentichiamolo - sto compatibilmente bene. e sono un privilegiato. quindi mi ci sono ritrovato in questa specie di rapporto quasi simbiotico con questo appartamentino, palazzo pezzottato di questa via residenziale poco trafficata. c'è una specie di continuità forzata, dove osservo particolari che mi erano sfuggiti, o di cui mi ero dimenticato. c'è un senso di protezione dentro queste mura. che d'inverno non riescono a tenere dentro tutto 'sto caldo. che ora non riescono a tenere fuori lo sconforto che a tratti mi prende per poi andarsene rapido com'era arrivato. che delimitano spazi non così ampi. che sono le uniche testimoni di qualche lagrima che ogni tanto mi scappa fuori: per le emozioni che mi traguardano, per la nostalgia che arriva improvvisa, per tutto quello che è compresso dentro. ma comunque mura per cui c'è una specie di [rinnovata?] gratitudine.
un po' più home, insomma.
non ostante tutto.
non ostante volessi lasciarla e quindi cominciassi a sentirla meno mia: per quanto non so quanto sia mai riuscito a sentirla davvero mia.
insomma. dieci anni in cui è successo davvero tanto, tanto, tanto. in cui ho la sensazione sia cambiato poco, come questo appartamento. ma che sia solo passato del tempo, anche se ad osservare queste mura non si direbbe. o forse vale proprio il viceversa. io sono cambiato, non ostante ad osservare qui dentro non si direbbe. e le cose in cui passo attraverso sono cambiate più che abbastanza.
figurarsi se avrei pensato, dieci anni fa, che mi ci sarei sentito protetto e schiacciato al tempo stesso, qui dentro.[che poi figurarsi è un eufemismo, visto che non lo immaginavo due mesi fa esatti. come tutti, del resto]
qui dentro che ormai se la compete con la casa dell'hometown [che è davvero mia, quella?] per numero di giorni vissutici.

però è il solito discorso dei paradossi. basta una sequenza di RNA particolarmente adattativa e scaltra. e cambia la storia del mondo. figurarsi in miliardesimi la mia. poi quello che sarà dopo, tutto quello che rimetterò in effetti in discussione, sarà da vedersi dopo. compatibilmente.
quindi tra un po' mi coricherò, come dieci anni fa la prima volta. un po' mi fa impressione, 'sta cosa. forse è anche per il dettaglio non trascurabile che il tempo passa, ed in fondo se ne fotte delle nostre [nevroriche] ricorrenze annualistiche. che poi 'sta cosa regala anche una sua paciosa sensazione rassicurante. come starsene qui dentro.

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